Mi voltai verso la folla.
Alcuni invitati distolsero lo sguardo, imbarazzati.
Altri erano evidentemente affascinati dal disastro.
Alzai la voce.
«Non ho mai rubato un centesimo a quest’uomo. Non ho mai aperto conti segreti all’estero. Non ho mai firmato questi mandati.»
Sollevai il foglio. «Questa è una messa in scena.»
Mi girai di nuovo verso Lorenzo.
«E posso dimostrare che non è la mia mano ad aver firmato.»
«Come?» intervenne Giulia, con la voce che finalmente tradiva un filo di ansia.
La guardai.
E sorrisi. Un sorriso freddo, che neanche io sapevo di avere.
«Perché sono una contabile» dissi. «E negli ultimi sei mesi ho rivisto ogni singolo documento della tua azienda, Lorenzo. Preparavo l’unione delle nostre finanze dopo il matrimonio. Conosco ogni conto, ogni movimento, ogni firma.»
«E questi» alzai il foglio «non sono i conti che ho visto io. E quella non è la mia firma.»
Mi avvicinai a un tavolo vicino, dove una delle mie amiche aveva appoggiato la borsetta.
Tirai fuori il telefono, lo sbloccai, aprii la cartella di mail che avevo costruito “nel caso mi fosse mai servita”.
«Questi,» dissi, mostrando lo schermo, «sono i veri movimenti della Rinaldi Costruzioni. E sapete cosa ho trovato, guardandoli? Cose interessanti.»
Mi rivolsi ora non solo a lui, ma a tutti.
«Soldi che si spostano in modo strano. Pagamenti a società fantasma. Fatture per lavori mai eseguiti.»
Il viso di Lorenzo impallidì.
«Di cosa stai parlando?» balbettò.
«Sto parlando di appropriazione indebita. Vera. Che va avanti da anni.»
Inspirai a fondo.
«E so anche chi c’è dietro.»
Guardai Giulia.
«Tu.»
Lei rise. Una risata corta, incrinata.
«Sei impazzita. Perché mai dovrei rubare dall’azienda di famiglia?»
«Perché tuo padre ti ha tagliato i fondi due anni fa» risposi calma. «Perché eri piena di debiti che non riuscivi più a gestire. Perché improvvisamente avevi bisogno di soldi, ma non volevi rinunciare alla tua vita.»
Non dissi “gioco”, “azzardo”, “shopping compulsivo”.
Non serviva.
Le sue pupille dilatate parlavano da sole.
«E l’azienda di tuo fratello è diventata il tuo salvadanaio segreto. Tu e il tuo… amico dello studio legale avete creato una rete di ditte di comodo, fatture false, giri di soldi difficili da seguire.»
Aprii un file Excel sul telefono, la tabella piena di numeri.
«Hai fatto un buon lavoro, davvero. Le società sono ben nascoste. Ma hai commesso un errore.»
La fissai.
«Hai usato sempre lo stesso numero di instradamento per alcuni bonifici. Una volta notato il modello, il resto è venuto giù come un castello di carte.»
Lorenzo stava guardando sua sorella come se la vedesse per la prima volta.
«Giulia?» mormorò.
«Sta mentendo» disse lei.
Ma la sua voce era più sottile, meno sicura.
«Non puoi crederle. Sta solo cercando di spostare l’attenzione.»
«Bene» replicai. «Chiamiamo le autorità. Qui. Adesso. Lasciamo che siano loro a controllare i conti. I miei e i tuoi.»
Calò un silenzio pesantissimo.
Il vento fece frusciare le foglie sopra di noi.
La faccia di Giulia cambiò.
La paura sparì.
Al suo posto, una freddezza lucida.
«Sei proprio sciocca» disse piano.
«Credi davvero di aver vinto?»
«Credo che la verità venga a galla, prima o poi» risposi.
Lei rise ancora, un suono come vetro che si incrina.
«La verità è che Lorenzo non ti ha mai amata davvero. Ho solo acceso dubbi che erano già lì.»
Si voltò verso suo fratello.
«Dille quante notti non dormivi chiedendoti se ti stava usando. Dille del detective privato che hai assunto per indagare sul suo passato.»
Non avevo bisogno della sua conferma.
La lessi sul volto di Lorenzo.
L’aveva fatto.
«Hai assunto un investigatore» dissi, quasi senza voce.
«Ti sei sposato con me pensando che potessi essere una truffatrice.»
«Volevo solo essere sicuro» mormorò lui. «Ho cercato di fidarmi…»
«Non ti sei fidato mai» replicai.
«Non per un solo giorno.»
Portai di nuovo la mano alla guancia che bruciava.
«Mi hai alzato le mani. Davanti a duecento persone. Senza farmi una domanda. Senza darmi la possibilità di spiegare. Hai creduto a lei invece che a me.»
Per la prima volta vidi sul suo volto qualcosa che sembrava vergogna.
Ma arrivava tardi. Molto tardi.
Inspirai.
Presi la mia decisione.
«Voglio che tu sappia una cosa» dissi, alzando la voce abbastanza da farmi sentire fino all’ultimo tavolo.
«Sono incinta. Otto settimane.»
Un mormorio attraversò il giardino.
«L’ho scoperto tre mesi fa» continuai. «E non te l’ho detto perché ti ho sentito parlare con tua sorella di quanto fossi “pericolosa” per il tuo patrimonio. Stavo aspettando il momento giusto, sperando che questo bambino ti avrebbe fatto capire che il mio amore era reale.»
Tirai fuori dalla borsa il piccolo pacchetto con la tutina.
Lo lanciai ai suoi piedi.
«Congratulazioni. Diventerai padre. Di un figlio concepito con una donna di cui non ti fidi. Che hai appena colpito in faccia davanti a tutti.»
Le persone intorno a noi ansimarono.
Vidi più di un telefono sollevarsi.
«Io dovevo dirtelo stanotte, nella nostra suite. Ma adesso…»
Lo guardai.
Davvero, per la prima volta.
Vidi non l’uomo che avevo idealizzato, ma quello che avevo davanti.
«Adesso me ne andrò» dissi. «Ti lascerò prima ancora che l’inchiostro sul nostro certificato di matrimonio si asciughi.»
«E farò in modo che tutti sappiano che tipo di uomo sei. Uno che crede alle bugie di una sorella disperata piuttosto che alla donna che porta suo figlio. Uno che risolve ogni dubbio con la violenza.»
Mi voltai verso gli invitati.
«Vi ringrazio per essere venuti» dissi, con un sorriso che non arrivava agli occhi.
«Mi dispiace che abbiate dovuto assistere a questo. Ma sono quasi contenta che sia successo davanti a tutti. Così nessuno potrà dire di non sapere chi è davvero la famiglia Rinaldi, cosa succede dietro i cancelli della loro villa, sotto la superficie lucida dei soldi e delle apparenze.»
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