Un singhiozzo mi sfuggì, soffocato contro il vetro.
La paura di non sapere, la possibilità di portare a casa il bambino sbagliato, di dare il mio amore, le mie carezze a una figlia che non era mia… mi paralizzava.
Come poteva accadere una cosa del genere?
Come poteva un ospedale moderno, con tutta la sua tecnologia, permettere un errore così grave?
Rimasi lì un tempo che mi parve infinito, a guardare, con le lacrime che scendevano senza fermarsi.
Alla fine, una infermiera di turno mi notò nel corridoio. All’inizio sembrò infastidita, poi, vedendo la mia espressione, cambiò sguardo.
«Signora Benedetti? Tutto bene? Dovrebbe essere a letto, a riposare.»
«Quale?» sussurrai, indicando con un dito tremante attraverso il vetro. «Quale delle due è mia figlia?»
L’infermiera aggrottò la fronte.
Guardò i cartellini sulle cullette, poi tornò a guardarmi. Il suo viso cambiò colore.
«Oh, Madonna…» mormorò. «Vado subito a chiamare qualcuno.»
Capitolo 5: Il confronto
La mattina dopo sembrava di entrare in un campo di battaglia.
Con quello che avevo visto io, con quello che aveva visto Lily, la paura si era trasformata in rabbia.
Daniel era al mio fianco, la mano sulla mia schiena, il volto serio.
Non stavamo più “chiedendo”. Stavamo pretendendo.
Ci fecero sedere nell’ufficio del direttore sanitario, il signor Ricci. Era seduto dietro una grande scrivania lucida, elegante, con l’aria calma e professionale. Marisa, la caposala, era in piedi vicino alla porta, pallida e con lo sguardo abbassato.
«Non si tratta di un semplice ‘errore di duplicazione dei dati’,» iniziai, sentendo la voce tremare ma decisa. «È grave negligenza. In questo momento, nel vostro nido ci sono due bambine identificate come Cloe Giulia Benedetti. Le ho viste con i miei occhi stanotte. Mia figlia le ha viste ieri pomeriggio. Come faccio a sapere che la bambina che sto allattando e coccolando da tre giorni è davvero mia?»
Il signor Ricci rimase calmo, forse troppo.
Intrecciò le dita. «Signora Benedetti, signor Benedetti, vi assicuro che stiamo prendendo la situazione molto sul serio. Come vi ha già spiegato la caposala, si è verificato un problema momentaneo di etichettatura a causa di un malfunzionamento del sistema al momento della registrazione. Due neonate hanno ricevuto lo stesso identificativo digitale, e questo ha causato la stampa di due etichette con lo stesso nome.»
«Momentaneo?» lo interruppi. «Mia figlia l’ha visto nel pomeriggio. Io l’ho visto stanotte tardi. Questo non è ‘momentaneo’!»
«Le etichette fisiche sono state corrette subito, appena l’errore è stato individuato,» intervenne piano Marisa, senza guardarmi. «Secondo il registro, nel giro di pochi minuti.»
«Minuti?» ribatté Daniel, con la voce tesa. «Vi rendete conto che in quei ‘minuti’ può succedere di tutto? Bastano due minuti per uno scambio disastroso!»
«E l’app degli annunci di nascita?» aggiunsi. «Anche quella è un ‘piccolo errore’? Mostra ancora due bambine con lo stesso nome!»
Il direttore sospirò, con un’aria paziente.
«L’app prende i dati automaticamente dal sistema. A volte gli aggiornamenti non sono immediati. Però,» si sporse leggermente in avanti, cambiando tono, «voglio rassicurarvi in modo chiaro. I nostri protocolli principali di identificazione – impronte digitali del piedino prese alla nascita, braccialetti numerati, controlli incrociati del personale – sono pensati proprio per evitare qualsiasi scambio fisico, anche in presenza di errori nei dati o nelle etichette. Non c’è stato nessuno ‘scambio di bambini’, signora Benedetti. Posso garantirlo personalmente.»
La sua “garanzia” non valeva più niente, per me.
La fiducia si era spezzata.
«Vogliamo un test del DNA,» disse Daniel, con voce ferma. «Subito. Su entrambe le bambine. Abbiamo bisogno di una prova certa.»
Il signor Ricci esitò solo un attimo.
Guardò Marisa, che diventò ancora più pallida. Poi annuì.
«Capisco perfettamente il vostro bisogno di sicurezza assoluta. Organizzeremo il test immediatamente.»
Capitolo 6: Un legame che non si spezza
Le ore successive furono un tormento.
Un tecnico di laboratorio, tranquillo e professionale, arrivò per prelevare i campioni: un tampone interno della guancia per me, per Daniel e per entrambe le Cloe – la Bambina A (quella che era sempre stata in camera con me) e la Bambina B (quella rimasta nel nido).
La procedura fu rapida, fredda, quasi anonima. Ma a me sembrò un gesto profondamente invasivo.
Quando prelevarono il campione dalla bambina che stringevo, dalla mia Cloe, le lacrime iniziarono a scendere senza che potessi fermarle.
E se?
E se questa piccolina, che già amavo più della mia stessa vita, non fosse mia figlia?
Sentivo il cuore spezzarsi solo al pensiero.
Avrei potuto amarla di meno, sapendo la verità?
Solo immaginare la risposta mi faceva male.
Lily rimase accanto a me durante l’attesa.
Mi teneva la mano, in silenzio. Niente battute, niente lamentele. Sembrava capire tutto. Era lì, piccola e seria, come un soldatino.
«Mamma,» disse piano, dopo un lungo silenzio, «non importa cosa dirà il test.»
La guardai, sorpresa. «Come, non importa?»
«Voglio dire,» continuò, scegliendo con cura le parole, «lei è già la nostra bambina. Anche se… anche se fosse finita nella nostra famiglia per sbaglio. Non la manderemmo via, vero? La amiamo lo stesso.»
La sua frase, semplice e enorme allo stesso tempo, mi arrivò dritta al cuore.
Sentii nuove lacrime, ma questa volta non erano solo di paura.
Aveva ragione.
Quella piccola, qualunque cosa dicesse la scienza, era già parte di noi. Ma io avevo ancora bisogno di sapere. Per lei, per noi, per non lasciare niente in sospeso.
Clicca il pulsante qui sotto per leggere la prossima parte della storia. ⏬⏬






