Migliaia di motociclisti arrivano all’improvviso davanti a casa: il desiderio di un bimbo fa piangere tutto il quartiere

Migliaia di motociclisti arrivano all’improvviso davanti a casa: il desiderio di un bimbo fa piangere tutto il quartiere

Migliaia di Motociclisti Hanno Sfilato per un Bambino — Regalandogli il Giorno Più Felice della Sua Vita…

«Mamma… un giorno potrò salire su una moto anche io?»

La domanda arrivò da Matteo Rinaldi, sei anni, mentre con le dita piccole seguiva il disegno di una moto lucida su un poster attaccato al muro della stanza d’ospedale. Dal suo braccio partivano tubicini collegati a una macchina che faceva “bip” a intervalli regolari, ma i suoi occhi chiari brillavano ancora di curiosità.

Sua madre, Elena Rinaldi, deglutì prima di rispondere. «Forse un giorno, amore mio.»

Eppure, dentro di sé, Elena conosceva la verità: quel “un giorno” poteva non arrivare mai.

Matteo lottava da più di un anno contro una forma rara di tumore alle ossa. I medici dell’Ospedale Santa Chiara, in una città poco distante da Bologna, avevano fatto tutto il possibile, ma le cure non stavano più dando i risultati sperati. Matteo passava gran parte delle sue giornate guardando fuori dalla finestra: auto, uccelli, gente che camminava in fretta… e ogni tanto, una moto che sfrecciava via.

Le moto lo affascinavano. Amava quel suono profondo, come un tuono lontano, vivo. Così, quando Elena gli chiese cosa desiderasse per il suo prossimo compleanno, Matteo non ebbe dubbi.

«Vorrei vedere tante moto passare davanti a casa nostra,» disse con un sorriso.

Era un desiderio così piccolo che le spezzò il cuore. Quella sera, Elena accese il computer e scrisse un messaggio semplice su internet, su un social dove le persone del quartiere si scambiavano notizie e aiuti:

“Mio figlio Matteo è in ospedale e ama le moto più di ogni altra cosa. Sabato mattina sarebbe il suo compleanno. Se qualche motociclista potesse passare nella nostra via anche solo per salutarlo, gli farebbe un regalo enorme.”

Premette “pubblica” con le mani che tremavano, aspettandosi forse due o tre risposte.

La mattina dopo, il telefono iniziò a vibrare senza sosta. Messaggi, commenti, promesse. Motociclisti della zona, gruppi di amici, persone mai viste prima scrivevano: “Ci saremo.” “Dì a Matteo che arriviamo.” “Porto anche un amico.” Alcuni dicevano perfino: “Partiamo all’alba, veniamo da lontano.”

Entro venerdì sera, il quartiere tranquillo dove viveva Elena era pieno di voci: stava arrivando una carovana di moto.

Il sabato si svegliò limpido, con un cielo chiaro e freddo. Matteo era stato portato a casa per poche ore, avvolto in una coperta calda, seduto all’ingresso, con gli occhi spalancati. All’inizio si sentiva solo il silenzio del mattino.

Poi, da lontano, arrivò un ronzio.

Prima leggero, quasi immaginato… poi sempre più forte, come un temporale che rotola sulle colline.

Quando la prima moto girò l’angolo, Matteo trattenne il fiato. Il motociclista alzò una mano in segno di saluto. E subito dopo ne arrivò un’altra… poi un’altra ancora… e poi decine… e poi centinaia.

Elena si portò la mano alla bocca, incredula.

La strada si riempì di caschi, giacche scure, luci che lampeggiavano, cromature che brillavano al sole. Il rombo era continuo, caldo, pieno. Non era solo rumore: sembrava un abbraccio enorme, fatto di motori e presenza.

Le moto passavano una dopo l’altra lungo Via del Gelsomino. Alcuni rallentavano per guardare Matteo, altri suonavano il clacson, molti urlavano con gioia:

«Buon compleanno, Matteo!»

Matteo batteva le mani, rideva, rideva così forte che a tratti gli mancava il respiro. Ogni volta che una moto faceva un rombo più profondo, lui spalancava gli occhi come se stesse ascoltando una musica.

Elena restò ferma, con le lacrime che le scendevano senza che potesse fermarle. Lei sperava in pochi motociclisti… e invece davanti a casa sua stava succedendo qualcosa di incredibile. Più tardi, le autorità parlarono di oltre diecimila moto arrivate nel corso della mattinata. Alcuni avevano percorso centinaia di chilometri solo per quel saluto.

Arrivarono anche alcune telecamere locali. Alcuni volontari distribuirono bottigliette d’acqua e panini ai motociclisti che si fermavano un attimo. I vicini uscirono sui balconi con cartelli fatti a mano: “Forza Matteo!” “Un giro per il coraggio!” Bambini piccoli agitavano le mani, contagiati dall’energia.

Tra i motociclisti c’era un uomo grande, con la barba grigia e lo sguardo gentile. Lo chiamavano tutti Sergio “Orso”. Era un ex operaio in pensione, e anni prima aveva perso un figlio per una malattia simile. Quando si fermò davanti a Matteo, spense il motore, si tolse il casco e si inginocchiò accanto a lui.

«Ciao campione,» disse con la voce un po’ rotta. «Ti piacciono le moto, eh?»

Matteo annuì, serio e felice insieme.

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