Mio marito mi mise in mano le carte del divorzio e disse:
«Hai quarantotto ore per prendere le tue cose. La mia nuova fidanzata ormai considera questa casa sua.»
Io mi limitai a sorridere e annuire.
Ma quando lei mise piede in quella casa, capì che aveva appena fatto il più grande errore della sua vita.
Sai quel momento in cui tuo marito ti porge i documenti per il divorzio con la stessa faccia di uno che restituisce un frullatore difettoso al supermercato?
Ecco, più o essenzialmente così.
Ero in cucina, nel nostro appartamento elegante in una zona residenziale a nord di Milano, un venerdì pomeriggio.
Indossavo ancora la giacca elegante con cui avevo appena chiuso una trattativa immobiliare piuttosto pesante, quando il mio caro marito – otto anni di matrimonio alle spalle – decise di sganciare la sua bomba con la delicatezza di un muratore che demolisce un muro a mazzate.
«Giulia, devi firmare questi», annunciò Lorenzo, spingendo una busta marrone sul piano in marmo come un croupier stanco che distribuisce le carte.
«Hai quarantotto ore per portare via le tue cose. Chiara si trasferisce questo weekend e ha bisogno di spazio per il suo angolo meditazione e la collezione di oli essenziali.»
Chiara.
La sua istruttrice di yoga ventiseienne, flessibile come una contorsionista da circo e, a quanto pare, con la spina dorsale morale di uno spaghetto troppo cotto.
Guardavo questo disastro annunciato da mesi, ma sentirlo dichiarare ufficialmente fu come prendere uno schiaffo bagnato in faccia mentre qualcuno suona una trombetta stonata sullo sfondo.
«Quarantotto ore», ripetei, aprendo la busta con quella calma che preoccupa persino i medici del pronto soccorso. «Che generoso, considerando che stai organizzando questa “uscita strategica” da luglio.»
Lorenzo ebbe pure la faccia di guardarmi sorpreso, come se avesse appena scoperto che l’acqua è bagnata.
«Lo sapevi?»
«Tesoro, hai iniziato ad andare a yoga cinque volte a settimana e all’improvviso ami i frullati verdi. Sei sottile come una fanfara in una biblioteca.»
Sfogliai le carte. Il mio cervello da avvocato immobiliare scivolò automaticamente in modalità controllo-danni, cercando i soliti errori da dilettante che fanno i mariti infedeli convinti di essere più furbi delle mogli avvocate.
«In più, improvvisamente hai tutte queste “riunioni di lavoro” in posti dove le riunioni di lavoro non esistono. Sanremo per un convegno finanziario? Certo, come no.»
Il bello di essere sposata con qualcuno per otto anni è che sai esattamente quali tasti premere per fargli tremare l’occhio sinistro.
L’occhio di Lorenzo stava ballando la tarantella mentre capiva che il suo “piano geniale” aveva più buchi di uno scolapasta dimenticato in un poligono di tiro.
«Senti, Giulia, non renderla difficile», disse, usando quel tono paternalistico che aveva perfezionato durante le nostre sedute di terapia di coppia… iniziate curiosamente nello stesso periodo in cui Chiara aveva cominciato a postare frasi tipo «segui la tua verità interiore» sui social.
«Io e Chiara abbiamo trovato qualcosa di vero, di autentico. Lei capisce il mio percorso spirituale.»
Quasi mi strozzai con il caffè.
Il percorso spirituale di Lorenzo, fino a quel momento, era stato trovare la forza di dividere i bianchi dai colorati quando faceva la lavatrice.
Questo è un uomo che fino a poco fa pensava che i “chakra” fossero una spezia indiana e che meditare significasse pensare al calcio mentre è in coda in tangenziale.
«Il tuo percorso spirituale», mormorai, appoggiando la tazza con una calma glaciale.
«È così che chiamiamo adesso il momento in cui un consulente finanziario di mezza età si lascia incantare da una ragazza che ancora viene controllata all’ingresso dei locali?»
«Non essere rancorosa, Giulia. Non è attraente.»
«Rancorosa? Amore mio, non ho neanche iniziato il riscaldamento.»
Vedi, Lorenzo aveva commesso un errore fondamentale nel suo grande piano d’uscita.
Pensava che otto anni di matrimonio mi avessero trasformata in una specie di moglie-zombie pronta a crollare in lacrime e supplicarlo di restare.
Quello che aveva dimenticato è che io non sono una moglie qualunque.
Sono un’avvocata specializzata in diritto immobiliare.
E, cosa ancora più importante, sono la nipote di Rosa Conti, una donna che avrebbe trovato scheletri perfino nell’armadio di un santo e l’avrebbe convinto a confessare di aver attraversato la strada col rosso.
Nonna Rosa – che il cielo la benedica – era stata investigatrice privata per trent’anni prima di andare in pensione e dedicarsi a insegnarmi l’arte di scovare i segreti.
«La conoscenza è potere, Giulia», mi diceva mentre mi mostrava come leggere i registri immobiliari e fare controlli in profondità. «Ma sapere quando usarla… quello è vero talento.»
Mentre Lorenzo stava lì, convinto di avere la situazione sotto controllo, probabilmente già immaginando la sua nuova vita “libera” con Chiara e le sue candele profumate, io ero già tre mosse avanti.
Perché mentre lui era impegnato con la sua crisi di mezza età, io facevo ciò che fa qualsiasi avvocata con un minimo di amor proprio quando il matrimonio inizia a puzzare più del pesce dimenticato in frigo.
Raccoglievo informazioni.
«Hai assolutamente ragione, Lorenzo», dissi con un sorriso che avrebbe messo a disagio uno squalo. «Chiara sembra proprio un gran colpo di fortuna. Dimmi, come vi siete conosciuti esattamente?»
«In palestra. Fa lezioni private di yoga», rispose lui, un filo meno sicuro. «Ci siamo… capiti subito. Lei vede il vero me.»
Il vero lui. Certo.
Io ci ho vissuto con il “vero lui” per otto anni.
Il vero lui lasciava i calzini sporchi in mezzo alla camera, pensava che i preliminari fossero chiedermi «sei pronta?» e una volta si era avvelenato con un trancio di pizza comprata in un chiosco alle tre di notte.
Ma sì, facciamo finta che la ventiseienne che fa la ruota sul tappetino abbia scoperto improvvisamente le sue profondità interiori.
«Sono sicura di sì», annuii, raccogliendo i documenti con tutta la grazia che ti danno gli anni in tribunale. «Anzi, sono convinta che lo veda anche meglio di quanto tu immagini… insieme al vero dottor Riccardo Bianchi, al vero Marco Rinaldi e al vero Enrico Ferri.»
Il colore scomparve dal volto di Lorenzo più in fretta dell’acqua che scende nello scarico.
«Di cosa stai parlando?»
«Oh, nulla di che», dissi, avviandomi verso le scale con le carte in mano.
«Solo qualche lettura che ho fatto di recente. Sai che adoro i gialli, soprattutto quelli con i colpi di scena in cui ti rendi conto che non conoscevi affatto i personaggi.»
Lo lasciai lì, in cucina, con i pensieri che si inseguivano nella testa come scooter nel traffico di Roma.
Lui forse pensava che stessi bluffando, come quando minacciavo di buttare le sue cravatte orribili se non sistemava il bagno.
Ma stavolta non stavo bluffando.
Chiusi la porta della camera e tirai fuori il portatile, lo stesso che usavo da tre settimane per fare quella che nonna Rosa avrebbe definito «una diligente verifica dei fatti».
Perché c’è una cosa da sapere quando sei un’avvocata immobiliare sposata con un consulente finanziario.
Entrambi sappiamo seguire le tracce dei soldi.
Solo che una di noi due ha ereditato una nonna che le ha insegnato a seguire le persone, oltre ai numeri.
Era iniziato tutto quasi per caso a fine settembre, quando Lorenzo era tornato a casa con un forte odore di incenso al sandalo e la testa piena di frasi sul «cuore che si apre».
Una moglie “normale” avrebbe pensato alla classica crisi di mezza età.
Io no.
Io sono Giulia Conti, nipote di una donna che una volta ha smascherato un marito infedele seguendo per sei mesi il percorso dei suoi scontrini del lavasecco.
Il primo campanello d’allarme era stato il profilo social di Chiara.
Per essere una persona tanto devota alla semplicità e al minimalismo, aveva un’incredibile quantità di tappetini yoga di marca, completi sportivi costosi e vacanze in posti che non esattamente costano poco.
Le sue foto erano una galleria perfetta: frasi ispirazionali sovrapposte a immagini di lei in posizioni complicatissime su terrazze panoramiche, spiagge esclusive, centri benessere di lusso.
Ma la vera bomba era stata la sezione «testimonianze dei clienti» sul suo sito personale.
Quattro recensioni entusiastiche di uomini che avevano “ritrovato se stessi” grazie alle sue sessioni private:
– dottor Riccardo Bianchi, cardiologo di Bergamo
– Marco Rinaldi, proprietario di vari autosaloni in Lombardia
– Enrico Ferri, gestore di fondi d’investimento a Milano
– e il mio caro marito Lorenzo, consulente finanziario “sensibile e in ricerca spirituale”.
La cosa divertente degli uomini sposati facoltosi che attraversano una crisi di mezza età?
Credono tutti di essere unici. Non lo sono.
Un po’ di ricerche in più – e con «un po’» intendo accesso a documenti pubblici, vecchi archivi online, qualche contatto di nonna Rosa rimasto nel mondo investigativo – mi rivelarono che «Chiara Fontana» non era neanche Chiara Fontana.
Si chiamava in realtà Elisa Romano, e da almeno tre anni portava avanti lo stesso copione in diverse città del Nord Italia.
Aveva costruito una rotazione che avrebbe reso orgoglioso un allenatore di calcio.
Lunedì e mercoledì con Riccardo, la cui moglie pensava che seguisse un programma di riabilitazione cardiaca.
Martedì e giovedì con Marco, che a casa parlava di un «percorso di elaborazione del lutto» per la morte del padre.
Venerdì con Enrico, che aveva raccontato alla moglie di una «terapia intensiva per la gestione dello stress lavorativo».
E i weekend?
Beh, quelli erano riservati a Lorenzo, convinto di essere il prescelto.
Ognuno di loro pagava un pezzo della sua vita.
Riccardo finanziava l’affitto della stanza in un centro olistico a Bergamo.
Marco le pagava il leasing dell’auto di lusso.
Enrico copriva i suoi weekend in spa “energetiche”.
Lorenzo, il mio caro, manteneva l’appartamento che Elisa usava come «santuario meditativo».
La parte più raffinata del suo raggiro non era nemmeno il denaro.
Era la narrazione.
A ciascuno aveva venduto una storia diversa:
– con uno era una vittima fuggita da una relazione tossica
– con un altro era una ragazza piena di debiti universitari
– con un terzo una figlia che sosteneva la famiglia in difficoltà.
Con Lorenzo era l’artista incompresa, fragile, che lui stava “salvando”.
Dovevo ammetterlo: come sceneggiatura, era quasi elegante.
Il dossier che avevo messo insieme in tre settimane sembrava il manuale di istruzioni di una truffa sentimentale contemporanea.
C’erano screenshot di conversazioni in cui, a distanza di pochi minuti, inviava gli stessi cuoricini e le stesse frasi a quattro uomini diversi.
C’erano movimenti bancari con versamenti da più conti, tutti intestati a società o persone legate a loro.
C’era perfino un’agendina digitale con un calendario colorato: ogni colore un uomo, ogni colore un tipo di manipolazione emotiva.
Ma l’errore fatale di Elisa era stato, come spesso accade, la gola.
Si era fatta prendere la mano.
Una truffatrice brava sa quando cambiare scena.
Lei invece era diventata troppo sicura, troppo ambiziosa.
Il passaggio successivo del suo piano?
Spingere Lorenzo a divorziare per trasferirsi… a casa nostra.
Peccato che non avesse controllato i registri immobiliari.
La casa, infatti, non era intestata a Lorenzo.
Era di proprietà della “Immobiliare Conti S.r.l.”.
Una società che avevo creato sei anni prima, quando avevamo comprato l’appartamento, usando l’eredità di nonna Rosa.
La stessa nonna che mi aveva insegnato che la vendetta migliore non è fredda. È precisa, documentata e con un bel fascicolo ordinato.
Seduta in camera, mentre sentivo Lorenzo girare nervoso al piano di sotto, aprii la mia casella di posta protetta.
E iniziai a scrivere l’e-mail più soddisfacente della mia intera carriera legale.
«Gentili signore Bianchi, Rinaldi, Ferri e futura ex signora Conti», digitai, le dita leggere sulla tastiera.
«Credo che abbiamo qualcosa in comune, e penso sia arrivato il momento di confrontarci sulla signora Chiara Fontana, al secolo Elisa Romano, e sulle “opportunità di crescita personale” che offre ai nostri mariti.»
Il bello di inviare prove identiche a quattro donne intelligenti e arrabbiate allo stesso momento?
Beh, diciamo che la teoria del caos impallidisce davanti a un gruppo di mogli ben informate con amici negli uffici giusti.
Mandai la mail alle 18:47, un venerdì 13 di ottobre.
Nonna Rosa avrebbe apprezzato la scelta della data.
Passarono dieci minuti.
Quindici.
Il telefono iniziò a vibrare come una vespa intrappolata in un barattolo.
La prima a chiamare fu Anna Bianchi, moglie del cardiologo.
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