La sua voce aveva quella calma fredda di chi è abituata a tenere insieme casa e famiglia mentre il marito salva cuori altrui… e dimentica il proprio.
«Signora Conti, ho ricevuto la sua mail. È sicura di quello che afferma?»
«Signora Bianchi, sono un’avvocata. Non faccio supposizioni. Presento prove.»
La invitai a controllare di nuovo la posta: c’erano allegati i movimenti bancari, gli screenshot, gli orari, perfino foto di Elisa con ognuno dei quattro.
Poco dopo arrivò la chiamata di Paola Rinaldi, la moglie dell’imprenditore.
«Da quanto lo sa?» chiese, con la voce spezzata e furiosa insieme.
«Tre settimane di indagine vera e propria. Ma i segnali li vedevo da circa sei.»
Le spiegai la coincidenza sospetta fra gli orari delle “terapie del lutto” e le lezioni private di yoga.
Nel giro di quaranta minuti ero in viva voce con Anna, Paola e, infine, Francesca Ferri, moglie di Enrico.
Ascoltare quelle tre donne – tutte con carriere, cervelli e molta meno ingenuità di quanto i loro mariti pensassero – mettere insieme il quadro fu come assistere a una sinfonia di indignazione ben diretta.
Non erano tre “casalinghe annoiate”.
Anna era ex avvocata penalista, Paola gestiva una piccola agenzia di comunicazione, Francesca lavorava da anni nel settore bancario.
Elisa aveva puntato davvero in alto. E male.
«Signore», dissi, appoggiandomi allo schienale della sedia come un generale davanti alla mappa, «propongo di affrontare questa faccenda con ordine. Coordinandoci. Vi interessa?»
La risposta fu un coro di sì che avrebbe fatto tremare le finestre.
In meno di un’ora avevamo creato un gruppo chat che sembrava la versione domestica di una task force.
Anna si occupava degli aspetti legali: truffa, false identità, abuso di fiducia.
Paola raccoglieva tutto ciò che riguardava la parte pubblica: profili, recensioni fasulle, foto, storie.
Francesca seguiva le tracce dei soldi, i versamenti, i conti in entrata e uscita.
Io coordinavo il tutto.
E, nel frattempo, preparavo il palco per l’arrivo della protagonista.
Perché c’era un dettaglio che Lorenzo ignorava: tre settimane prima, in un impeto di romantica stupidità, aveva dato a Chiara/Elisa una copia delle chiavi di casa.
Voleva che «si sentisse a casa».
Perfetto. Si sarebbe sentita a casa davanti alla realtà.
Grazie a una semplice app di localizzazione sul telefono di Lorenzo – installata con lo stesso scrupolo con cui si mette un allarme in banca – sapevo che lei aveva in mente una «sorpresa» per quella sera.
Una cena per festeggiare la “nuova vita”.
Alle 20:45, Lorenzo si decise finalmente a salire in camera.
Sentivo i suoi passi sul parquet, timidi come quelli di un adolescente tornato tardi la notte.
«Giulia, tutto bene? Sei così silenziosa…»
«Sto solo facendo le valigie, amore», risposi. Non alzai neanche la testa dal computer, su cui stavo rivedendo i primi appunti di Anna sui reati ipotizzabili. «Sai quanto sono precisa con i progetti importanti.»
Esitò.
«Quello che hai detto prima… quei nomi…»
«Oh, quello? Non preoccuparti. Probabilmente è niente. Solo qualche coincidenza curiosa che ho trovato cercando informazioni su Chiara. Sai come sono paranoici gli avvocati.»
Lo sentii tirare un sospiro di sollievo.
Povero Lorenzo.
Convinto di aver evitato il peggio, quando in realtà era in mezzo a una tempesta che non aveva neanche visto arrivare.
Alle 21:20, un messaggio nel gruppo:
Paola: «Attenzione, ha cancellato diversi profili social negli ultimi dieci minuti. Direi che ha fiutato qualcosa.»
Francesca: «Movimenti strani su un paio di conti. Prelievi in contanti iniziati da circa un’ora.»
Anna: «Ho raccolto abbastanza documenti per una prima denuncia. Non sarà una passeggiata per lei.»
Alle 21:45 sentii una macchina entrare nel cortile.
Mi affacciai.
Un’auto di lusso bianca – finanziata, guarda caso, dalle rate che Marco pagava “per il lutto” – si fermò davanti al portone.
Ne scese Elisa: tuta attillata, sacchetti di cibo di un ristorante bio, sorriso da pubblicità.
Scrissi nel gruppo:
«La protagonista è arrivata. Siete pronte per il gran finale?»
Tre risposte quasi immediate:
«Prontissima.»
«Vai.»
«Registriamo tutto mentalmente.»
Dal piano di sotto sentii la porta aprirsi.
«Amore, ho portato la cena!» trillò Elisa, con quella voce morbida che usava nei video. «Possiamo festeggiare la tua nuova libertà con delle bowl di quinoa. Ho preso anche quelle senza glutine, per ripulire le energie.»
La quinoa. Ovviamente.
Nulla dice «sto distruggendo un matrimonio e mi prendo casa tua» come una ciotola di cereali presentata come percorso spirituale.
Lorenzo quasi inciampò scendendo le scale per accoglierla.
La sua voce aveva la tonalità falsa di chi sa di essere nel torto ma finge di no.
«Chiara, ti avevo detto di aspettare domani! Giulia è ancora… qui.»
«Oh, non ti preoccupare», rispose lei sicura.
«Domani tutto questo sarà solo un ricordo. Potremo iniziare da zero nella nostra splendida casa nuova.»
La «nostra» casa nuova.
Sfiorai il bordo della giacca, guardai per un secondo il riflesso nello specchio.
Era il momento.
Mandai un ultimo messaggio nel gruppo:
«Signore, inizio. Pensatemi.»
Poi scesi le scale come se stessi entrando in tribunale.
Con il verdetto già scritto.
Loro erano in cucina.
Elisa abbracciava Lorenzo e si guardava attorno con gli occhi di chi sta scegliendo dove mettere le proprie cose.
Candele accese, sacchetti sul piano cucina, profumo di incenso.
«Che atmosfera zen», dissi, la voce chiara e tagliente. «Chiara Fontana. O dovrei dire… Elisa Romano?»
L’effetto fu immediato e meraviglioso.
Il volto di Elisa cambiò colore tre volte nel giro di pochi secondi.
Lorenzo sembrava un uomo che scopre all’improvviso di aver investito i risparmi di una vita in un finto fondo.
«Giulia, cosa stai dicendo?» balbettò lui.
Ma lei si irrigidì, come se l’avessero colpita.
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