Caricarono Serena sulla barella. — È un arresto cardiaco, ma l’abbiamo ripresa, — disse un medico, sudato nonostante il gelo.
— Dobbiamo correre. Mentre uscivo di casa, afferrando il cappotto al volo, mi fermai sulla soglia. Castagna era lì, seduto in mezzo al corridoio. Tremava, ma non per il freddo. Non potevo portarlo.
— Torno presto, — gli dissi, con la voce rotta.
— Fa’ il bravo. Proteggi la casa. Lui mi guardò. E per la prima volta, non vidi stanchezza o paura. Vidi una promessa. Vai. Io aspetto qui.
Le ore in ospedale furono un limbo grigio. Corridoi al neon, caffè disgustoso delle macchinette, facce stanche di altri parenti in attesa. Quando finalmente il dottore uscì, era l’alba.
— È stabile, signor Elio. È stata dura, ma il peggio è passato. — Si tolse gli occhiali, stropicciandosi gli occhi.
— Devo dirle una cosa, però. Se fossimo arrivati cinque minuti dopo… se lei non si fosse svegliato in quel momento esatto… non ce l’avrebbe fatta. Che fortuna che lei abbia il sonno leggero.
Mi lasciai cadere sulla sedia di plastica, coprendomi il viso con le mani. Le lacrime arrivarono calde e liberatorie.
— Non ho il sonno leggero, dottore, — mormorai. — Dormivo come un sasso.
— E allora cosa l’ha svegliata?
Sorrisi, un sorriso stanco ma pieno di un’infinita gratitudine. — Il cane del vicino.
Tornai a casa due giorni dopo, solo per prendere dei cambi e controllare la situazione, mentre Serena restava in osservazione. La casa era fredda e silenziosa.
Appena aprii la porta, eccolo. Non mi saltò addosso. Mi venne incontro piano, annusando l’aria intorno a me, cercando l’odore di lei. Mi inginocchiai, ignorando il dolore alle ginocchia, e lo abbracciai. Affondai il viso nel suo pelo ruvido, che sapeva di polvere e di casa.
— L’hai salvata, — gli sussurrai nell’orecchio spezzato. — Hai capito, testone? L’hai salvata tu. Lui appoggiò la testa sulla mia spalla ed emise un sospiro lungo, profondo. Sentii la tensione abbandonare il suo corpo muscoloso. Aveva fatto il suo dovere. Il branco era salvo.
Quando Serena tornò a casa, due settimane dopo, la primavera iniziava timidamente a spingere via l’inverno. La neve si era sciolta, lasciando il posto a chiazze di erba verde brillante lungo l’argine. L’auto si fermò nel vialetto. Aiutai Serena a scendere. Era ancora debole, ma viva. I suoi occhi cercavano il portico.
Castagna era lì. Questa volta non abbaiò. Corse verso di lei, ma si fermò a un metro di distanza, come se capisse la sua fragilità. Scodinzolava così forte che tutto il corpo ondeggiava. Serena si chinò lentamente e allargò le braccia. Lui avanzò con delicatezza, appoggiando il muso contro la sua fronte.
— Ciao, angelo mio, — disse lei, con la voce incrinata dall’emozione. — Grazie.
Da quel giorno, il legame tra noi tre cambiò per sempre. Non eravamo più un uomo, una donna e un cane trovatello. Eravamo un organismo unico. Le passeggiate serali divennero un rito sacro. Io tenevo il guinzaglio, ma non serviva più a trattenere. Era un filo invisibile che ci univa.
I vicini, quelli nuovi che avevano preso la casa accanto, ci guardavano a volte con curiosità. Vedevano un vecchio signore burbero che camminava con una signora dall’aria delicata e un cane meticcio con un orecchio rotto che camminava fiero, a testa alta, come se fosse il re della Pianura Padana.
Un pomeriggio di aprile, mentre eravamo sull’argine e il sole iniziava finalmente a scaldare la pelle, incontrammo un signore anziano del paese. Si fermò a guardare Castagna.
— Bel cane, — disse.
— Ha l’aria di uno che ne ha passate tante. È un cane da guardia? Io e Serena ci scambiammo uno sguardo. Sorrisi, stringendo la mano di mia moglie.
— No, — risposi. — Non è un cane da guardia. È un cane da vita.
Guardai Castagna. Stava annusando un fiore di tarassaco, le orecchie dritte, attento al ronzio di un’ape. Poi si voltò verso di noi. Un abbaio. Breve, secco. Andiamo. Sì, andiamo.
Il cane che un tempo era il mio tormento, il suono che mi trafiggeva come una lama di ghiaccio, ora era il battito cardiaco della nostra famiglia. Avevo imparato la lezione più importante: a volte, le cose che ci infastidiscono di più sono solo richieste d’aiuto mascherate.
E a volte, l’aiuto che diamo ci ritorna indietro moltiplicato per mille, in una notte d’inverno, sotto forma di un abbaio che sconfigge la morte.
La nebbia era svanita. La strada davanti a noi era chiara. E per la prima volta in tanti anni, non avevo paura del silenzio, perché sapevo che, se mai il buio fosse tornato a minacciarci, lui avrebbe abbaiato. E noi lo avremmo ascoltato.






