Partorisce nella bufera sul marciapiede e poi dieci moto spuntano dal buio: cosa succede dopo?

Partorisce nella bufera sul marciapiede e poi dieci moto spuntano dal buio: cosa succede dopo?

Passarono le settimane. Cominciò la parte più difficile: documenti, firme, attese. Nessuno di loro era ricco. Ma misero insieme quello che potevano: risparmi, ore extra, rinunce. Sara offrì il suo piccolo appartamento per crescere la bambina, e gli altri si organizzarono: chi portava latte, chi pannolini, chi coperte, chi semplicemente faceva compagnia.

La chiamarono Speranza Riva, tenendo il cognome della madre.

Per i Lupi di Ferro, quella bambina non era solo una responsabilità. Era diventata famiglia.

Gli anni scivolarono via. Speranza crebbe sveglia, coraggiosa, con ricci castani e occhi pieni di vita. Chiamava Marco “Zio Marco”, Sara “Zia Sara”, e gli altri “gli zii con i giochi rumorosi”. Ogni tanto, nel fine settimana, saliva dietro a Marco sulla moto — sempre con un caschetto rosa un po’ graffiato, dove qualcuno aveva scritto con un pennarello: “Principessa”.

Agli occhi della gente erano uomini e donne con tatuaggi e cicatrici, facce dure, mani segnate dal lavoro. Ma quando Speranza era con loro, cambiavano. La portavano a scuola, alle feste di paese, alle giostre, alle recite. Il loro ritrovo, che una volta era solo rumore e musica alta, aveva ora un angolo pieno di disegni, pastelli, pupazzi e fogli con motociclette colorate e cuori enormi.

Quando Speranza compì dieci anni, anche loro erano diversi. Litigavano meno. Niente risse, niente bravate. Sara una volta disse sottovoce: «Per colpa sua… siamo diventati persone migliori.»

Poi arrivò un giorno qualunque. Speranza stava riordinando uno stanzino vecchio, pieno di scatole impolverate. Ne aprì una, e sotto una coperta scolorita trovò una busta stropicciata, sigillata, mai consegnata.

Sul davanti c’era scritto, con una grafia tremante:

“A chiunque trovi la mia bambina.”

Le mani di Speranza tremarono mentre apriva la busta. Dentro c’era una lettera breve, ma pesante come una pietra.

“Se stai leggendo, grazie per aver salvato mia figlia. Si chiama Speranza. Io non posso darle molto, ma prego che qualcuno buono lo faccia. Dille che l’ho amata. Dille che è stata l’unica cosa buona che io abbia fatto. — Elena Riva.”

Gli occhi di Speranza si riempirono di lacrime. Strinse quel foglio al petto e corse fuori. Marco e Sara erano nel cortile, chini su una moto, con le mani sporche di grasso.

«Zio Marco…» disse con la voce che le tremava, «questa… è della mia vera mamma?»

Marco rimase fermo. Per anni aveva pensato a quel momento, senza sapere quando sarebbe arrivato. Si asciugò le mani sui jeans, si inginocchiò davanti a lei e annuì piano.

«Sì, tesoro. Era coraggiosa. Voleva che tu vivessi. Che tu fossi amata.»

Speranza tirò su col naso. «È morta… per colpa mia?»

La voce di Marco si ruppe. «No, piccola. Lei ha lottato per te. Tu le hai dato un motivo. Un motivo per resistere fino all’ultimo.»

Sara la abbracciò forte, forte, e sussurrò: «E ci hai dato un motivo anche a noi.»

Quel fine settimana, i Lupi di Ferro andarono insieme alla piccola croce vicino alla strada. Speranza appoggiò una rosa bianca sulla neve sporca del bordo, con delicatezza, come se fosse una carezza.

I motori restarono accesi piano, lontano, solo un ronzio basso. Gli “zii” stavano in silenzio.

Marco mise una mano sulla spalla di Speranza. «Ti guarda, sai. E secondo me… è orgogliosa di te.»

Anni dopo, Speranza diventò assistente sociale, dedicandosi alle madri e ai bambini senza casa in città. Quando qualcuno le chiedeva perché avesse scelto proprio quel lavoro, lei sorrideva e rispondeva:

«Perché una volta… dieci motociclette mi hanno trovata nella neve.»

E ogni inverno tornava su quella strada con una giacca di pelle e il simbolo dei Lupi di Ferro cucito sulla spalla, per lasciare fiori nel punto esatto dove, per lei, era cominciato l’amore.

La notte in cui sua madre morì… fu la notte in cui lei trovò dieci padri.

E la “Principessa dei motociclisti”, alla fine, aveva davvero trovato il suo regno.

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