La moglie di Lupo, Rosa, è sopravvissuta. La trasfusione è andata bene. Quando l’hanno spostata in reparto, ci hanno fatto entrare a turno per salutarla.
Mi ha preso la mano, magra ma calda.
— Tu… — ha mormorato. — Tu hai pagato le cure di Sandro per tre anni. Non so come ringraziarti.
Luca mi ha guardato, confuso.
— Hai pagato tu? — ha chiesto piano.
— Le medicine sperimentali erano care — ho detto. — L’associazione non copriva tutto.
— Quanto? — ha insistito.
Ho scrollato le spalle.
— Non importa.
— Papà… — ha sussurrato. — Saranno stati tutti i tuoi risparmi.
— La pensione basta per mangiare — ho risposto. — Non mi serve la casa al mare. A Lupo serviva tempo con sua moglie.
Dopo, nel parcheggio, l’aria di dicembre ci tagliava il viso. I ragazzi erano già in macchina, emozionati, che programmavano quando venire a vedere il mio garage e la moto.
— Perché non me l’hai detto? — ha chiesto Luca. — Delle cure, di tutto il resto?
— Sarebbe cambiato qualcosa? — ho ribattuto. — Ti vergognavi del “motociclista”, non dell’uomo. I buoni gesti non cancellano la giacca di pelle agli occhi di chi guarda solo la superficie.
Lui ha sospirato.
— Elena… — ha iniziato.
— Elena ti sta lasciando — ho detto, senza girarci intorno.
Mi ha guardato stupito.
— Da quanto?
— Da mesi — ha ammesso. — Dice che non sono più l’uomo che ha sposato. Ha ragione. Quell’uomo avrebbe avuto il coraggio di rinnegare suo padre per fare bella figura. Io… non voglio più essere quell’uomo.
— Non mi hai rinnegato, Luca. — ho detto piano. — Mi hai seppellito. È diverso.
Ha abbassato la testa.
— Lo so — ha bisbigliato. — Quando Chiara chiedeva di te, era più facile dire che non c’eri più che ammettere di averti mandato via. Era più comodo per me.
Almeno, finalmente, era sincero.
— I bambini vogliono vederti — ha aggiunto. — Vogliono venire da te. Spesso. E… pensavo… forse potremmo fare il pranzo della domenica insieme. Ogni settimana.
— Sicuro? — ho chiesto. — Cosa diranno allo studio?
— Diranno quello che vogliono — ha risposto. — Non mi interessa più come prima.
— Ti interessa ancora — ho sorriso — ma forse adesso ti interessano di più altre cose.
Ha guardato verso la macchina. Chiara stringeva ancora la foto del suo terzo compleanno. Marco, sul sedile accanto, stava cercando sul telefono informazioni sui corsi per imparare ad andare in moto in sicurezza.
— Ho rubato cinque anni ai miei figli — ha detto Luca. — E a te.
— Sì.
— Come li recupero?
Mi sono avvicinato alla moto e ho infilato il casco.
— Non li recuperi — ho risposto. — Non si può togliere a qualcuno un funerale inventato. Non si può “s-uccidere” una persona nella testa dei bambini e poi far finta di niente. Ma puoi decidere come saranno i prossimi cinque anni.
— Allora… a pranzo, domenica? — ha chiesto.
— Verrò — ho detto.
— In moto?
— Sempre.
— Bene — ha sorriso piano. — Marco vuole imparare come funziona un motore. E Chiara vuole rifare un giro con te.
— E tu? — ho chiesto.
Luca ha incontrato il mio sguardo. Per la prima volta dopo tanto tempo, davvero.
— Io voglio mio padre — ha detto. — Tutto intero. Con le rughe, la giacca di pelle, la moto, i vecchi amici rumorosi. Non solo il ricordo ripulito che mi faceva comodo.
— Tuo padre non è mai andato via — ho risposto. — Sei stato tu a seppellirlo troppo presto.
Sono salito in moto. Nel retrovisore l’ho visto restare fermo nel parcheggio, le mani in tasca, che mi guardava allontanarmi. I bambini mi salutavano agitando le braccia. Per la prima volta in cinque anni, ho ricambiato.
Questo succedeva sei mesi fa.
Adesso il pranzo della domenica è sacro. Elena se n’è andata a vivere con uno che non la imbarazza al circolo. I bambini, quando possono scegliere, restano con Luca.
Chiara sta imparando nuove canzoni al pianoforte per il motoclub. Vecchi pezzi che facevano piangere sua nonna. Vederla suonare per quei “giganti di pelle” con gli occhi lucidi è una delle cose più belle che mi siano successe.
Marco, in garage con me e con Orso, sta rimettendo a nuovo una moto vecchia di cinquant’anni. Ha capito che il grasso sotto le unghie non è motivo di vergogna. È la prova di un lavoro onesto.
E Luca?
La settimana scorsa si è presentato in tribunale con uno di noi. Un nonno del motoclub stava perdendo il diritto di vedere i nipoti perché il giudice considerava “inadatto” il suo stile di vita: giacca di pelle, moto, troppo rumoroso.
Luca ha preso il caso senza farsi pagare. Si è messo davanti al giudice, in toga e con la cravatta perfetta, e ha difeso pubblicamente le persone di cui un tempo si vergognava.
E ha vinto.
Fuori dal tribunale, nel parcheggio, mi ha detto una frase che da sola è valsa tutti gli anni di dolore.
— Papà, sono fiero di essere tuo figlio.
Ero seduto sulla moto, pronto ad accendere il motore, ma ho aspettato un momento.
— Tua madre sarebbe fiera dell’uomo che stai diventando — gli ho detto.
— Non di quello che sono stato? — ha chiesto lui.
— No — ho risposto. — Ma ti avrebbe capito. Diceva sempre che a volte bisogna perdersi per ritrovarsi. Non pensava che in mezzo avresti fatto il funerale a tuo padre, però.
Lui ha riso. La prima risata vera che condividevamo da anni.
— Papà?
— Dimmi.
— Domenica prossima… posso venire in moto con te? Sto pensando di prenderne una anch’io.
L’ho guardato. Un avvocato di successo, padre single, con qualche ruga in più ma finalmente libero dalla gabbia che si era costruito da solo.
— Conosco uno che vende una buona moto per cominciare — ho detto.
— Il tuo gruppo mi accetterà? Dopo tutto quello che ho fatto?
— Sei il figlio di Toro — ho risposto. — Sei sempre stato uno di noi. Ti eri solo dimenticato.
Gli sono scese due lacrime, veloci.
— Ti voglio bene, papà.
— Ti voglio bene anch’io, ragazzo mio. Anche quando mi hai ucciso.
Adesso ci ridiamo sopra, con quel senso dell’umorismo un po’ nero che hanno quelli che hanno visto la morte da vicino. Ma Chiara tiene ancora sul comodino la foto del suo terzo compleanno, quella con la moto. Ogni tanto la sorprendo a guardarla, in silenzio, come a pesare gli anni in cui ha pensato che io fossi sotto terra.
Il tempo non torna indietro. Le bugie non si cancellano. Però si può scegliere di dire la verità, da un certo punto in poi. E a volte, questo basta per ricominciare.
A volte, i morti riescono perfino a partecipare alla propria resurrezione.
E credetemi: è un viaggio che vale ogni chilometro.






