Serena annuì, serissima.
«La sua azienda probabilmente non ha ancora guardato questi dettagli,» disse. «Ma quando tutto emergerà, potrebbero chiedergli conto anche di questo. Per ora, a noi interessa dimostrare una cosa: che lui ha dissipato deliberatamente il patrimonio comune mentre progettava di andarsene.»
Io annuii, sentendomi a metà tra sfinita e lucida come non lo ero mai stata.
«E ora?» chiesi.
«Ora chiediamo al giudice misure urgenti,» rispose Serena. «Affidamento delle bambine, assegnazione della casa familiare, mantenimento, e soprattutto un ordine perché lui dichiari tutto quello che possiede. E parallelamente…» mi guardò con un mezzo sorriso, «…io parlerò con un collega che si occupa di contenzioso tributario. Nel caso certe cose debbano arrivare anche a chi di dovere.»
Non era vendetta. Era conseguenza.
Nel frattempo, scrissi a Paola.
Non ci eravamo mai parlate davvero, solo quei messaggi che avevo ignorato quando ancora volevo credere a Luca. Le mandai un testo semplice:
«Ciao Paola, sono Elena, la moglie di Luca. Ora so tutto. Non ce l’ho con te. Sto affrontando la separazione. Avrei bisogno, se te la senti, di una dichiarazione scritta su quello che è successo. Non per attaccarti, ma per dimostrare un comportamento che si ripete.»
Mi rispose poche ore dopo.
«Elena, sono stata male per mesi quando ho scoperto di te. Mi sentivo complice. Se la mia testimonianza può aiutarti a chiudere questo capitolo, lo farò volentieri.»
Serena preparò per lei una breve dichiarazione da firmare: come l’aveva conosciuto, cosa lui le aveva raccontato, quando aveva scoperto di me, le frasi sui «matrimoni morti» e sulle mogli che sono «solo un peso».
Poi venne il turno di Delfina.
Non la cercai mai, non la affrontai mai. Mi bastò osservare.
Luca continuava ad andare alle uscite in bici la domenica con quel gruppo sportivo. Io, con un profilo che non portava il mio nome e che usavo solo per lavoro, seguivo gli aggiornamenti del gruppo sui social.
Un giorno, una foto: lui e una ragazza sorridenti, caschetto in mano, seduti su un muretto con le bici dietro. Scritto sotto: «Le pedalate sono più belle con la compagnia giusta». Cuoricini, commenti, faccine.
Screenshot. Salvato. Inviato a Serena.
«Non è illegale avere una relazione dopo la separazione,» disse lei, «ma dimostra un pattern. Usa sempre lo stesso copione. E soprattutto, durante una procedura così delicata, questo atteggiamento non farà una gran figura davanti al giudice.»
Io, intanto, dovevo fare la cosa più difficile di tutte: parlare con Chiara e Sofia.
Scelsi un pomeriggio tranquillo, senza scuola il giorno dopo, sedute al tavolo della cucina con fogli e colori. Stavamo facendo dei disegni per decorare la loro cameretta.
«Vi devo spiegare una cosa,» dissi, cercando parole semplici. «È una cosa da grandi, ma vi riguarda, quindi voglio che lo sappiate.»
Chiara smise di colorare e mi guardò. Sofia continuò a tracciare arcobaleni improbabili.
«Papà ha fatto delle scelte che non sono state sincere con me,» dissi. «Ci ha nascosto delle cose importanti. Questo ha fatto molto male alla nostra famiglia. Per questo adesso non vive più qui.»
«È per la signora del centro commerciale?» chiese Chiara piano.
Mi si strinse lo stomaco.
«Quella è una parte della storia, sì,» risposi. «Ma la cosa più grave non è che papà abbia conosciuto un’altra persona. È che ha mentito. A me. E a te.»
Chiara abbassò lo sguardo.
«Io non volevo mentirti,» sussurrò. «Mi faceva male il pancino ogni volta che ci pensavo.»
Le presi la mano.
«Non è colpa tua. Mai. Tu sei una bambina. Un adulto non deve mai chiedere a un bambino di tenere un segreto che lo fa stare male. Quello è sbagliato.»
Sofia alzò la testa dal suo disegno.
«Papà è in castigo?» chiese con la serietà dei cinque anni.
Sorrisi, con un nodo in gola.
«In un certo senso sì,» dissi. «È un castigo da grandi. Ci sono persone che devono controllare quello che ha fatto, e finché non saranno sicure che lui capisce i suoi errori, alcune cose saranno diverse.»
Non entrai nei dettagli. Non parlai di tribunali, di conti bancari, di cartelle segrete. Le bambine non hanno bisogno di sapere tutto. Solo la verità che le riguarda direttamente.
Il Tribunale fissò la prima udienza per le misure urgenti a metà novembre.
Quel giorno entrai nell’aula con le gambe che tremavano, ma la schiena dritta. Serena al mio fianco, con una borsa piena di fascicoli. Dall’altra parte, Luca con il suo avvocato: un ex compagno di università che si occupava soprattutto di contratti aziendali, non di famiglie.
In mezzo, una giudice sui sessant’anni, capelli corti grigi, sguardo di chi ha visto ormai ogni tipo di storia e non si impressiona più facilmente: la giudice Ferri.
«Signora Rinaldi, signor Rinaldi,» esordì con tono neutro, «oggi siamo qui per valutare le misure temporanee in attesa della decisione definitiva sulla separazione. L’avvocata Cavalli ha depositato documentazione che parla di movimentazioni sospette di denaro, conti non dichiarati e un comportamento che definisce “manipolatorio” nei confronti della figlia maggiore. Cominciamo dai fatti economici.»
Serena si alzò, calma.
«Onorevole giudice,» disse, «non si tratta di qualche prelievo non giustificato. Abbiamo una perizia che dimostra oltre settantamila euro sottratti al patrimonio comune in diciotto mesi, conti correnti aperti senza informare la moglie, spese personali fatte passare per costi di lavoro. E in parallelo, un piano dettagliato per lasciare la famiglia e trasferirsi altrove, mentre continuava a usare i soldi comuni.»
Consegnò il fascicolo al cancelliere. La giudice Ferri lo sfogliò in silenzio per lunghi minuti. Si sentiva solo il fruscio delle pagine e qualche colpo di tosse in fondo all’aula.
Io fissavo un punto del banco davanti a me, per non vedere la faccia di Luca.
«Signor Rinaldi,» disse infine la giudice, alzando lo sguardo, «le risulta di aver spostato queste somme?»
Lui tossì, si aggiustò la giacca.
«Ho fatto degli investimenti,» mormorò. «Non era mia intenzione danneggiare la famiglia. Pensavo di…»
«Ha usato anche la carta della sua azienda per spese che non risultano collegate al lavoro,» lo interruppe la giudice. «Sa che questo può avere conseguenze anche in altri ambiti?»
L’avvocato di Luca intervenne:
«Onorevole giudice, il mio assistito riconosce qualche ingenuità nella gestione dei conti, ma…»
«Ingenuità?» lo gelò lei. «Qui parliamo di movimenti ripetuti, di conti nascosti, di pianificazione. Non mi sembra una semplice distrazione.»
Voltò di nuovo il fascicolo e proseguì:
«Per quanto riguarda le bambine, risulta da una dichiarazione e da quanto riferito in consulenza che la figlia maggiore sia stata coinvolta in un segreto relativo alla presenza di un’altra donna nella vita del padre. Questo, signor Rinaldi, è molto grave.»
Luca abbassò finalmente lo sguardo.
Dopo un’altra mezz’ora di discussione, la giudice pronunciò quello che per me fu un cambiamento di vita.
«In via provvisoria,» disse, «dispongo che la casa familiare resti assegnata alla signora Rinaldi, presso la quale saranno collocate stabilmente le due minori. L’affidamento resta condiviso, ma il collocamento prevalente è presso la madre. Il padre avrà diritto di visita in giorni e orari concordati, inizialmente con incontri supervisionati da un servizio territoriale per valutare la qualità della relazione e l’impatto delle sue scelte sulle bambine.»
L’avvocato di Luca si alzò di scatto.
«Onorevole giudice, la supervisione è una misura drastica…»
«Lo è,» rispose lei. «Ed è esattamente ciò che intendo. Quando un genitore chiede a una bambina di otto anni di custodire un segreto che riguarda un tradimento, ha bisogno di essere valutato nella sua capacità genitoriale.»
Si voltò verso di me.
«Per il mantenimento,» continuò, «il signor Rinaldi dovrà versare alla signora Rinaldi un contributo mensile per le bambine, oltre a un assegno temporaneo a favore della moglie, in attesa della definizione della separazione. Dispongo inoltre che il signor Rinaldi presenti un elenco completo di tutti i suoi conti, investimenti e partecipazioni entro trenta giorni. In caso di inadempienza, il Tribunale valuterà ulteriori provvedimenti.»
Piccolo dettaglio finale:
«E naturalmente,» concluse, «il signor Rinaldi dovrà comunicare a questo Tribunale ogni eventuale intenzione di trasferirsi in un’altra città. Fino a nuova decisione, gli è fatto divieto di allontanarsi stabilmente oltre una certa distanza dalla residenza delle figlie.»
Il martello calò sul legno. Udienza chiusa.
Fuori dall’aula, Luca iniziò a discutere con il suo avvocato.
«Mi avevi detto che sarebbe stata una formalità!» sbottò.
Non avevo bisogno di ascoltare il resto. Io e Serena ci limitammo a passargli accanto in silenzio.
Le conseguenze non tardarono ad arrivare.
La sua azienda, che fino a quel momento aveva fatto finta di non vedere, dovette cominciare a porsi qualche domanda quando arrivarono le richieste formali di documenti. Il reparto amministrativo iniziò a controllare con più attenzione le spese sulla carta aziendale.
Non so con precisione cosa emerse, ma bastò poco perché mi arrivasse voce, tramite conoscenti comuni, che Luca era stato «invitato» a lasciare il suo incarico.
Tradotto: niente più stipendio fisso, niente più ruolo importante, niente più libertà di far passare le sue serate in hotel come «incontri di lavoro».
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