Quando il giudice scoppiò a ridere leggendo la mia lettera, mio marito capì di aver perso tutto

Per la prima volta da mesi, però, non sentivo solo paura.

Sentivo rabbia.

Mi aveva tolto il lavoro, la sicurezza economica, la dignità. Mi aveva usata come copertura rispettabile mentre costruiva una rete di affari sporchi.
Ma ora avevo qualcosa che lui non aveva previsto: informazioni.

Il giorno dopo avrei chiamato il numero sul tovagliolino.
Il giorno dopo avrei smesso di subire.


La mattina successiva, aspettai che uscisse.
Quando chiusi il portone dietro di lui, le mani mi tremavano così tanto che dovetti comporre il numero tre volte.

«Ispettore Riva, reparto reati economico-finanziari,» rispose una voce bassa e calma.

«Buongiorno,» dissi quasi sussurrando. «Mi chiamo Elisa Bianchi. Una mia amica, Marta, mi ha dato il suo numero. Penso che mio marito stia facendo qualcosa di illegale con il denaro.»

Ci fu un breve silenzio.

«Signora Bianchi, può venire in commissariato oggi pomeriggio? Preferirei parlare di persona.»

Due ore dopo ero seduta in un piccolo ufficio con le pareti tappezzate di fascicoli. Di fronte a me, un uomo sui quarant’anni con gli occhi chiari e stanchi sfogliava le foto che avevo sul telefono.

«Da quanto tempo suo marito gestisce questi conti?» chiese l’ispettore Riva.

«Non lo so,» risposi. «Io… ho trovato questi documenti solo ieri.»

Annui, serio.

«È tipico. I coniugi spesso non sanno nulla delle attività illecite dell’altro. Guardi qui,» indicò uno dei movimenti. «Entrano grandi somme da società senza vera attività e vengono fatte girare tra più conti prima di finire su un investimento immobiliare. Questo è schema da riciclaggio.»

La gola mi si strinse.

«Che tipo di soldi “sporchi”?»

«Con questi importi e questa frequenza, potrebbe trattarsi di denaro legato a traffici illeciti: droga, gioco d’azzardo clandestino, organizzazioni criminali. La sua è una ditta edile e immobiliare, giusto?»

Annui.

«È il settore perfetto per “ripulire” soldi, comprando e rivendendo immobili.»

«Quanto rischia?» chiesi.

«Parliamo di reati gravi. Anni di carcere, sequestro dei beni acquistati con denaro illecito.»

«Tutti i beni?»

«Tutto ciò che è stato pagato o mantenuto con soldi sporchi può essere sequestrato.»

La testa mi si riempì di un ronzio.
Se lo avessero arrestato e avessero sequestrato tutto, io sarei rimasta davvero senza niente.
Esattamente come lui aveva pianificato.

Solo che, questa volta, il motivo non sarebbe stato un divorzio sfavorevole, ma una montagna di reati.

Mi umettai le labbra.

«Ispettore… e se io vi aiutassi a fare chiarezza? Se riuscissi a procurarvi altre prove?»

Lui si fermò a guardarmi con attenzione.

«Signora Bianchi, sarebbe molto pericoloso. Se suo marito sospettasse qualcosa, potrebbe reagire male. Persone che maneggiano questi soldi non amano essere tradite.»

«Ma io sono già in pericolo, no? Lui vuole sbarazzarsi di me, e mi ha resa dipendente. Se tutto crolla, io non avrò nulla. Se invece collaboro, forse posso salvarmi.»

Rimase in silenzio per qualche istante.

«Cosa ha in mente?»

Deglutii.

«Ho accesso alla casa, al suo studio, al suo computer. Posso copiare documenti, registrare conversazioni, osservare chi incontra. Ma ho bisogno di protezione. E di garanzie per il mio futuro.»

«Che tipo di garanzie?»

«Non voglio essere coinvolta nei suoi reati. Voglio che sia messo per iscritto che non sarò incriminata per quello che lui ha fatto. E…» esitai, poi proseguii. «Se parte dei beni è stata acquistata con soldi puliti, vorrei poter mantenere qualcosa. Una casa, un conto da cui ripartire.»

Per la prima volta, l’ispettore Riva accennò un sorriso.

«Sta ragionando come un pubblico ministero,» disse. «Lasci che parli con chi di dovere. Se quello che immagino su suo marito è vero, interesserà molto anche alla Procura.»

Tre giorni dopo tornai in quel piccolo ufficio.
Oltre all’ispettore c’era una donna sui quarant’anni, tailleur scuro, sguardo deciso: la dottoressa Serra, pubblico ministero.

Avevano preparato un accordo di collaborazione.

«Signora Bianchi,» spiegò la dottoressa Serra, «lei opererà come fonte confidenziale. Le forniremo strumenti per registrare conversazioni e fotograre documenti. In cambio del suo aiuto, la Procura si impegna a non contestarle alcun reato legato alle attività di suo marito e a consentirle di conservare i beni che risulteranno acquisiti con denaro pulito.»

Lessi ogni riga con attenzione.
Per anni avevo firmato cose che non capivo, fidandomi di Marco.
Questa volta, no.

Quando mi sentii sicura, firmai.

«Quando cominciamo?» chiesi.

Da quel giorno, la “brava mogliettina” cambiò pelle.

Di giorno continuavo a cucinare, pulire, sorridere a tavola, chiedere a Marco com’era andata.
Ogni volta che usciva, però, controllavo il suo studio, copiavo file su una chiavetta, fotografavo contratti, note, appunti di riunioni che tanto riunioni non erano.

L’ispettore Riva mi insegnò a usare un minuscolo registratore grande quanto una moneta, nascosto in una spilla e in una penna sul tavolo.
In poche settimane avevamo ore di conversazioni in cui Marco vantava “giri” di soldi, rideva su quanto fosse “facile fregare lo Stato”, parlava di contanti che arrivavano in valigette.

Scoprii anche da dove venivano quei soldi: da un gruppo di persone che organizzavano traffici illeciti.
Marco riceveva grosse somme in contanti, acquistava immobili tramite la sua società, poi li rivendeva come se fossero frutto di normali operazioni.
In cambio riceveva una percentuale. E, come se non bastasse, si teneva anche una fetta extra per sé.

Quella fetta in più la spendeva con Chiara: gioielli, viaggi, cene.
Ogni borsa che lei sfoggiava, ogni weekend in spa, ogni colazione al mare erano pagati con soldi di cui nessuno avrebbe dovuto conoscere l’origine.

La parte più difficile era tornare a recitare davanti a lui ogni sera.

Mi baciava sulla guancia, mi raccontava storie inventate di cantieri e riunioni.
Una sera, mi guardò a lungo.

«Ti vedo diversa, ultimamente,» disse. «Più sicura. Mi piace.»

Sorrisi appena.

«Leggo di più,» risposi. Era la verità: leggevo codici, articoli di legge, spiegazioni sulle indagini finanziarie.

«Brava. La conoscenza è potere,» disse ridendo.

Se solo avesse saputo quanto potere avevo iniziato ad accumulare.

Dopo due mesi, l’ispettore Riva mi disse che avevamo raccolto abbastanza per far partire un’indagine formale e chiedere il sequestro dei beni.
Io chiesi una sola cosa:

«Aspettate ancora un po’.»

Volevo che Marco entrasse in tribunale convinto di vincere tutto.
Volevo vedere il suo sorriso sicuro spegnersi davanti a tutti.

La trappola era pronta.
Ora dovevo solo aspettare che ci cadesse dentro.

L’udienza per la separazione vera e propria cominciò in un martedì gelido di novembre.
Indossavo un vestito nero semplice, niente gioielli, niente fronzoli. Volevo sembrare esattamente come loro mi vedevano: piccola, fragile, facile da schiacciare.

Marco arrivò con il suo “esercito” di avvocati, tutti con le loro cartelle spesse e l’aria compiaciuta.

«Buongiorno, Elisa,» disse con quella finta gentilezza che avevo imparato a riconoscere. «Spero che riusciremo a sistemare tutto in modo civile.»

Annuii docile. «Voglio solo quello che è giusto, Marco.»

Mi diede una pacca sulla spalla, come si fa con un bambino.

«Ci penserò io a farti stare tranquilla.»

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