Una fila interminabile di moto che avanzavano lentamente lungo via dei Pioppi, occupando tutta la carreggiata. Alcune con bandierine con lo stemma dei “Fratelli del Vento”, altre con simboli simili, di altri gruppi.
Il rombo dei motori riempì l’aria, rimbalzando tra i palazzi.
Tutte le finestre si aprirono, le porte si spalancarono. I vicini uscirono in strada, spaesati.
La signora Bianchi era sulla soglia di casa, il volto pallido, la bocca leggermente aperta.
Le moto si disposero con una precisione quasi militare, lungo tutta la via, davanti a ogni casa, ma soprattutto davanti alla porta di Amina.
Era come se quella piccola casa fosse diventata il centro di qualcosa di enorme.
Il rombo, d’un tratto, cessò.
Silenzio.
Si sentivano solo i motori al minimo e qualche colpo di tosse di un vicino emozionato.
Dal gruppo di motociclisti, una figura scese da una moto nera parcheggiata proprio davanti all’insegna “La Cucina di Mamma Amina”.
Giubbotto di pelle, barba grigia, passo leggermente zoppo.
Michele.
Si tolse il casco, alzò lo sguardo verso la finestra e la vide.
— Amina! — chiamò, con voce che riempì la strada. — Dobbiamo parlare!
Lei uscì lentamente sul marciapiede, Luca in braccio, sentendo addosso gli occhi di tutti: dei “Fratelli del Vento”, di altri gruppi che portavano lo stesso simbolo sul giubbotto, dei vicini che fino a pochi giorni prima la ignoravano.
— Michele… che cosa sta succedendo? — chiese con un filo di voce.
Lui sorrise appena, poi si fece serio.
Alle sue spalle, lungo tutta la via, centinaia di motori erano fermi, come un esercito in attesa di ordini.
— Ti avevo detto che non ci saremmo dimenticati — rispose. — Ma forse non ti avevo detto quanto siamo bravi a mantenere le promesse.
Fece un cenno a uno dei motociclisti accanto a lui, che avanzò con una grande busta in mano.
— Quello che hai fatto per noi nella tormenta non è passato inosservato, Amina — disse Michele. — E oggi, qui, davanti a tutti, vogliamo mostrarti cosa può succedere quando un atto di gentilezza incontra una famiglia grande come la nostra.
Amina guardò la busta, guardò le moto che riempivano la strada, guardò i vicini che non riconosceva più, con gli occhi spalancati.
Sentì il cuore batterle in gola.
Aveva aperto una porta in una notte di neve.
E adesso il mondo intero sembrava averle risposto.
Amina guardava Michele, Luca stretto al fianco, le mani che le tremavano senza capire se fosse paura o emozione.
— Michele… chi sono tutte queste persone? — chiese piano.
Lui si voltò e indicò con un gesto ampio la fila interminabile di moto e giubbotti di pelle.
— Sono i nostri fratelli e le nostre sorelle — disse. — I “Fratelli del Vento” di Torino, Milano, Genova, Bologna, Verona… Abbiamo raccontato la tua storia. La storia di una madre che, in piena tormenta, ha aperto la porta a venticinque stranieri senza chiedere nulla in cambio. E nessuno di noi ha voluto restare seduto a guardare.
Un mormorio percorse la via.
I vicini si scambiavano sguardi increduli. La signora Bianchi era impietrita sulla soglia, le mani strette sul golfino.
— Questo è per te — continuò Michele, prendendo la grande busta dalle mani di un altro motociclista e porgendogliela. — Una raccolta fatta tra tutti i gruppi che hanno voluto partecipare. Piccole somme, grandi cuori. Insieme fanno molto.
Amina aprì la busta con gesti incerti.
Dentro c’erano mazzetti di banconote e alcune lettere brevi, con firme di persone che non aveva mai visto:
«Per la mamma che ci ha ricordato perché esistono le famiglie.»
«Per Luca, che deve crescere sapendo che non è mai solo.»
«Per una porta che si è aperta quando era più facile chiuderla.»
Amina sentì le gambe cedere.
Michele le posò una mano sulla spalla per sostenerla.
— Michele, è troppo… non posso accettare… — balbettò.
— Sì che puoi — rispose lui, serio ma sorridente. — Lo chiamiamo “pareggiare i conti con la vita”. Tu ci hai salvato quella notte. Non solo dalla neve. Da quello che il mondo pensa di noi. Adesso tocca a noi salvarti un po’ dalla fatica che ti porti addosso da anni.
Alle sue spalle, alcuni motociclisti cominciarono a scaricare furgoni che Amina non aveva nemmeno notato: sacchi di cemento, assi di legno, tubi, vernice, scatoloni con quello che sembrava essere attrezzatura da cucina professionale.
— Che state facendo? — chiese, confusa.
Una donna alta, capelli grigi raccolti in una coda, si fece avanti. Portava lo stesso stemma sul giubbotto.
— Piacere, io sono Sara, capitolo di Milano — disse, porgendole la mano. — Tra noi ci sono muratori, idraulici, elettricisti, falegnami, cuochi. In questi giorni abbiamo fatto telefonate, preso ferie, organizzato squadre. Oggi sistemiamo la tua casa come si deve e trasformiamo il tuo sogno in un vero ristorante.
— In… un ristorante vero? — ripeté Amina, come se quella parola fosse troppo grande per la sua bocca.
— “La Cucina di Mamma Amina”, aperta sul serio — confermò Michele. — Cucina a norma, sala più grande, riscaldamento che funziona. Niente più improvvisazioni da sopravvivenza. Tu ci metti le ricette, noi il resto.
I vicini si guardarono tra loro.
Qualcuno cominciò a mormorare:
— Ma è legale?
— Davvero fanno tutto gratis?
— E se ci sono problemi?
Michele si girò verso di loro, alzando un po’ la voce.
— Tranquilli — disse. — Abbiamo parlato con il proprietario di casa. Con questi soldi saldiamo tutti gli arretrati e compriamo il locale. Lui è contento di liberarsi di un pensiero, noi siamo contenti di dare una casa a questa famiglia e al suo lavoro. Tutto con un notaio, tutto in regola.
Alzò il foglio che aveva in mano.
— Questi sono i documenti. Da oggi, questo posto appartiene ad Amina e a Luca. Nessuno potrà più buttarli fuori.
Un brusio di stupore attraversò la via.
Amina portò una mano alla bocca.
— La casa… è nostra? Davvero?
— Davvero — annuì Michele. — Una cucina ha bisogno di fondamenta solide. Anche una famiglia.
Luca, incuriosito, si divincolò dalle braccia della madre e allungò le mani verso Toni, che era poco distante.
— Moto! Moto! — gridava, ridendo.
— Vieni qui, campione — disse Toni, sollevandolo. — Ti faccio vedere da vicino le “nostre signore a due ruote”.
Nell’aria, nonostante il freddo, si cominciava a sentire qualcosa che Amina non riconosceva da tempo.
Eccitazione.
Aspettativa.
Una gioia che aveva paura a chiamare per nome.
In meno di un’ora, via dei Pioppi era irriconoscibile.
Davanti alla casa di Amina, i “Fratelli del Vento” avevano creato una specie di cantiere perfettamente organizzato.
C’era la “squadra cucina”, la “squadra muri”, la “squadra impianti”, la “squadra sala”.
Qualcuno aveva steso un lungo cavo e collegato un piccolo generatore, così da avere elettricità stabile anche se la rete del quartiere faceva ancora le bizze.
Le telecamere di una tv locale erano arrivate, attirate dalle foto e dai video che alcuni motociclisti avevano pubblicato sui social nelle ore precedenti.
Giornalisti si aggiravano tra le moto, cercando di capire cosa stesse succedendo.
— Non ci credo — sussurrò un vicino, uscendo sul balcone. — La nostra via in televisione…
Amina si ritrovò al centro di un vortice.
Ogni cinque minuti qualcuno le chiedeva un parere su colori, disposizione dei tavoli, grandezza del bancone.
— Tu devi solo dirci se ti piace o no — ripeteva Sara. — Al resto pensiamo noi.
Tra la folla, Amina vide una figura familiare, ferma un po’ in disparte: Marta.
La donna avanzava piano, appoggiandosi leggermente al corrimano, gli occhi lucidi e curiosi.
— Marta! — la chiamò Amina. — Venga, si avvicini. Non avrebbe idea di quello che sta succedendo senza che lei…
Si fermò a metà frase.
Marta non la stava guardando.
Guardava oltre, verso Daniele, che in quel momento usciva di casa con una scatola di attrezzi in mano e la gamba ancora fasciata.
Indossava un giubbotto senza maniche, sotto il quale si vedeva una collanina d’argento: un ciondolo ovale, con piccoli disegni incisi.
Lo stesso disegno che Amina aveva visto tra le dita di Marta solo pochi giorni prima.
L’anziana si bloccò.
Portò una mano alla bocca.
— No… — sussurrò. — Non può essere…
Il mondo sembrò rallentare.
— Daniele! — chiamò, con una voce che era un misto di speranza e paura. — Ragazzo! Vieni un attimo qui!
Lui si voltò, sorpreso.
Si avvicinò, zoppicando appena.
— Sì, signora? — chiese, rispettoso. — Ci conosciamo?
Marta lo fissò, gli occhi pieni di lacrime.
— Avevi sette anni — disse, la voce che le tremava. — Vivevamo in quelle case vicino al fiume. C’è stato un incendio. C’era tanta gente, urla, fumo. E tu… tu avevi una piccola voglia dietro l’orecchio sinistro, a forma di mezzaluna.
Clicca il pulsante qui sotto per leggere la prossima parte della storia. ⏬⏬






