Istintivamente, Daniele portò la mano dietro l’orecchio.
Lo fece sempre, da bambino, quando qualcuno gli chiedeva di quel segno. Lo faceva ancora adesso, senza pensarci.
— Come fa a saperlo? — chiese, sbiancando.
— Perché ero io che ti lavavo i capelli ogni domenica e mi lamentavo che non stavi fermo — rispose Marta, con un piccolo singhiozzo. — Perché il giorno del tuo settimo compleanno ti ho regalato quella collana che porti al collo. E perché da quell’incendio non ti ho mai più visto.
Daniele afferrò il ciondolo.
Lo girò tra le dita, mostrando il retro.
C’erano parole incise, consumate ma ancora leggibili:
«L’amore non muore mai.»
La stessa frase che Marta aveva sussurrato ad Amina.
— Mamma…? — disse. Una sola parola, ma conteneva trent’anni di vuoto.
— Sì, amore mio — rispose lei, scoppiando in pianto. — Sì. Non ho mai smesso di cercarti.
Gli andò incontro e lo abbracciò con una forza che nessuno avrebbe attribuito a una donna della sua età.
Daniele, che pure aveva il fisico di uno abituato alla vita dura, tremava come un bambino tra le sue braccia.
— Ti ho cercato in tutti gli elenchi, in tutti i registri — singhiozzava Marta. — Mi dicevano che ti avevano dato in affidamento, poi che la famiglia si era trasferita. Ogni volta che sentivo una moto, pensavo: “Chissà dov’è il mio ragazzo…”.
— Credevo che fossi morta nell’incendio — mormorò lui. — Credevo di averti persa per sempre. Questo… questo ciondolo era l’unica cosa che mi rimaneva.
Il cantiere si fermò.
I motociclisti posarono attrezzi e vernici. I vicini smisero di mormorare.
Anche il giornalista della tv, per un momento, dimenticò il microfono.
Michele fu il primo a rompere il silenzio.
— Marta… sei la mamma di Daniele? — chiese, la voce incrinata.
— Sì — rispose lei, stringendo il viso del figlio tra le mani come per assicurarsi che fosse reale. — E voi… voi siete stati la sua famiglia quando io non potevo esserci.
Toni annuì, gli occhi lucidi.
— Gli abbiamo voluto bene, Marta. Ma non possiamo competere con una madre.
Marta si voltò verso Amina.
— E tu… — disse, ancora incredula. — Tu hai salvato la vita di mio figlio quella notte. E io ho dato medicine a tuo figlio senza sapere che la mamma del ragazzo che cercavo da trent’anni eri tu.
Amina la abbracciò d’istinto.
— Forse il mondo non è così grande come sembra — sussurrò.
La via esplose in un applauso spontaneo.
Le moto ripresero a suonare il clacson, come un coro stonato ma pieno di gioia.
La storia che stava nascendo quel giorno non parlava più solo di una madre sola e di un gruppo di motociclisti.
Parlava di un figlio ritrovato, di un quartiere che cominciava a guardarsi negli occhi, di fili invisibili che univano persone che pensavano di non avere niente in comune.
La trasformazione della casa durò fino al tramonto.
Pareti tinteggiate, impianti controllati, una nuova insegna montata sopra la porta:
“LA CUCINA DI MAMMA AMINA
Dove l’ingrediente segreto è l’amore”
Dentro, una cucina vero, con forni professionali, piano inox, frigoriferi a norma.
La sala era stata allargata, rubando spazio al vecchio soggiorno, ma nessuno se ne accorgeva più: ora sembrava nata per accogliere tavoli e chiacchiere.
Sara mostrava ad Amina il nuovo forno.
— Con questo puoi fare teglie intere in una volta sola — spiegava. — E qui c’è lo spazio per tenere in caldo i piatti quando avrai il locale pieno.
— “Quando” e non “se”… — ripeté Amina, un po’ stordita. — Voi siete proprio sicuri che verrà qualcuno?
— Vedrai — disse Michele, indicando il telefono. — La tua storia sta già girando. Abbiamo creato una pagina per il ristorante stamattina. I commenti non finiscono più. Gente che vuole prenotare, che chiede se può mandare pacchi di alimenti da donare, associazioni che vogliono organizzare cene di beneficenza…
Marta si avvicinò con un vassoio di biscotti che aveva portato da casa.
— E io sarò qui a insegnarti le mie focacce e i miei dolci — disse, decisa. — Così la carta sarà ancora più ricca. Sono anni che nessuno mi chiede le mie ricette. È ora di rimetterle al lavoro.
— Siamo una squadra, adesso — aggiunse Daniele, passando un braccio sulle spalle della madre. — Una famiglia allargata, con moto, pentole e bambini.
Nel frattempo, i vicini si avvicinavano in piccoli gruppi, timidi.
La signora Rossi portò una teglia di verdure gratinate.
Il signor De Luca, quello che non salutava mai nessuno, arrivò con una bottiglia di vino dicendo che “forse è l’occasione buona per stapparla”.
Perfino la signora Bianchi, dopo lunghi minuti passati a fissare la scena dalla porta di casa, fece un passo avanti.
Aveva il viso tirato, ma gli occhi diversi: non più duri, non più superiori. Confusi, forse, e un po’ vergognosi.
— Amina… — cominciò, quasi senza fiato. — Io… cred… credo di doverle chiedere scusa.
Il rumore intorno calò, come se tutti aspettassero quella frase.
— L’altro giorno… quello che ho fatto, quello che le ho detto… non ha giustificazioni. Ho visto solo le mie paure, non ho visto lei, né suo figlio.
Quando ho sentito i motociclisti arrivare, ho pensato al peggio. Poi ho visto cosa hanno fatto. Ho visto la storia alla tv, ho sentito cosa raccontavano di lei… e mi sono vergognata. Tanto.
Le mani le tremavano.
— Capisco se non vorrà mai più parlarmi, ma… se un giorno avrà bisogno di latte o di zucchero, la prego, venga pure da me.
Amina la guardò a lungo.
Avrebbe potuto sputarle addosso la rabbia, ricordarle la caduta, il gelo, le parole cattive.
Invece vide solo una donna che, per la prima volta, sembrava davvero nuda, senza maschere.
Sorrise piano.
— Tutti possiamo sbagliare — disse. — Io per prima. Quello che conta è cosa facciamo dopo. Se vuole essere una vicina migliore, io sono qui. E la cucina è aperta a tutti. Anche a lei.
Un sospiro di sollievo attraversò la via.
Qualcuno cominciò a battere le mani. Altri si unirono.
Il sole stava calando dietro i tetti di Torino quando l’improvvisata festa di quartiere prese vita.
Moto parcheggiate in ordine, tavoli allestiti fuori con quello che ognuno aveva portato da casa, bambini che correvano tra gli stivali dei motociclisti, le risate di Luca che risuonavano più forti di tutte.
Sulla porta del nuovo ristorante, Amina si fermò per un momento, guardando tutto.
— È questo, Marta, quello che intendeva sua madre quando diceva che la gentilezza torna indietro? — chiese.
Marta annuì.
— Sì. E spesso torna moltiplicata.
Michele si avvicinò con un piccolo quadernetto di pelle.
— Questo è per te — disse. — Dentro ci sono i contatti di tutti i capitoli che hanno contribuito. Se un giorno avrai bisogno… per un problema, una raccolta fondi, un’emergenza… ci chiami. Una volta che entri in famiglia, non ne esci più.
Amina prese il quadernetto come si prende una cosa sacra.
— Non so se riuscirò mai a restituire tutto questo — mormorò.
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