Quarantacinque secondi in mensa che hanno zittito quattro reclute e distrutto tutti i loro pregiudizi

Sara Martino entrò nella mensa affollata della base navale di Porto Azzurro, i suoi anfibi facendo un rumore sordo sul pavimento lucidato.
L’aria era piena del brusio di decine di marinai che facevano colazione, del tintinnio delle posate, del profumo di caffè e uova strapazzate.

Indossava la stessa divisa blu scuro di tutti gli altri, i gradi ben in vista, i capelli scuri raccolti in uno chignon regolamentare.

A vederla così, nessuno avrebbe detto che fosse diversa da qualunque altro marinaio della stanza.
A ventotto anni, alta poco più di un metro e sessanta, aveva un fisico atletico che la divisa larga nascondeva bene.
I suoi occhi castani però si muovevano in modo diverso da quelli degli altri: scivolavano velocemente sulla sala, segnando mentalmente uscite, angoli ciechi, possibili vie di fuga.

Quell’abitudine le era stata inculcata in anni di addestramento speciale che la maggior parte delle persone in quella mensa non avrebbe mai nemmeno immaginato.

Prese un vassoio, si mise in fila e lasciò che il personale di cucina le servisse uova strapazzate, pane tostato e un po’ di frutta.
Gli addetti alla mensa la salutarono con un sorriso, scambiarono con lei due battute, trattandola come una qualsiasi altra militare affamata all’inizio del turno.

Sara rispose con cortesia, ma con frasi brevi.
Aveva imparato da tempo che attirare l’attenzione su di sé raramente era una buona idea.

Trovò un tavolo libero in un angolo tranquillo, verso il fondo della sala, si sedette e iniziò a mangiare.

Preferiva fare colazione da sola.
Era quel momento in cui poteva osservare l’ambiente, mettere in ordine i pensieri e pianificare la giornata.
Anche se quel giorno, ancora non lo sapeva, sarebbe stato diverso da tutti gli altri.
Avrebbe messo alla prova tutto ciò che aveva imparato nella sua carriera segreta.

A pochi tavoli di distanza, quattro giovani reclute stavano finendo la loro colazione.
Erano arrivati in base da appena tre settimane e stavano ancora cercando di abituarsi alla vita militare.

Avevano tutti più o meno diciannove, vent’anni, e quella tipica sicurezza spavalda di chi ha appena superato l’addestramento di base.

Osservavano Sara da quando si era seduta, sussurrando fra loro.

«Guardala» disse Luca Moretti, alto, spalle larghe, capelli castano chiaro tagliati corti. Era il classico ragazzo di provincia del nord, convinto di sapere già tutto.
«Si crede chissà chi solo perché porta questa divisa.»

La sua voce era abbastanza alta da farsi sentire, esattamente come voleva lui.

Marco Esposito, più basso e robusto, originario del sud, rise e annuì. Era uno di quelli che in addestramento aveva faticato, e proprio per questo sentiva il bisogno continuo di dimostrare qualcosa.

«Queste donne pensano di poter fare tutto quello che fanno gli uomini» sbuffò. «È ridicolo.»

Il terzo, Tommaso Rinaldi, romano, più piccolo di corporatura ma con una bocca che non stava mai zitta, si piegò in avanti ridendo.

«Qualcuno dovrebbe insegnarle un po’ di rispetto» disse, schioccando le nocche. «Farle vedere come sono i veri marinai.»

Il quarto del gruppetto, Davide Conti, era il più silenzioso. Venne dall’Emilia, aveva lo sguardo più mite.
Le parole dei suoi amici lo mettevano a disagio, ma non voleva sembrare “debole” davanti a loro.

Era stato cresciuto nel rispetto delle donne, ma la pressione del gruppo cominciava a fargli vacillare le certezze.

Sara continuava a mangiare, apparentemente ignorando i commenti, ma in realtà ascoltava ogni parola.

Situazioni simili le erano capitate spesso nella sua carriera.
Alcuni uomini facevano fatica ad accettare le donne nei ruoli operativi, soprattutto in unità d’élite.
Lei aveva imparato a scegliere con cura le sue battaglie.

Le quattro reclute finirono la colazione e si alzarono.
Invece di uscire dalla mensa, si diressero verso il suo tavolo.

Alcuni militari nelle vicinanze notarono la tensione che cominciava a formarsi, anche se molti continuarono a parlare, gettando solo rapide occhiate nella loro direzione.

Luca fu il primo ad avvicinarsi realmente, fermandosi diritto davanti al suo tavolo.

«Scusa, collega» disse con una cortesia finta che tradiva l’arroganza. «Io e i miei amici ci stavamo chiedendo che cosa ci faccia una come te in Marina. Non sarebbe meglio stare a casa a badare ai bambini, o qualcosa del genere?»

Sara alzò lo sguardo dal piatto, l’espressione calma, neutra.
Aveva già visto quel tipo di bullismo.
Sapeva che reagire di pancia avrebbe solo peggiorato le cose.

«Sto facendo colazione» rispose semplicemente, e tornò a prendere una forchettata di uova.

Marco si sistemò accanto a Luca, incrociando le braccia sul petto.

«Lo sai che non è questo il punto» insistette. «Le donne non dovrebbero stare nei reparti operativi. Rubate il posto a uomini che potrebbero fare davvero il lavoro.»

La conversazione stava richiamando sempre più attenzione.
Ai tavoli vicini qualcuno smise di parlare per osservare la scena.
Altri lanciavano sguardi rapidi, indecisi se intervenire o no.

Tommaso si mise sul lato sinistro del tavolo di Sara, iniziando a circondarla.

«Forse ti sei confusa al reclutamento» sogghignò. «La Marina non è un posto dove si gioca a travestirsi.»

Davide, pur con evidente esitazione, si posizionò dall’altro lato, completando il cerchio attorno a lei.
Si sentiva male dentro, ma non trovava il coraggio di tirarsi indietro.

Ora le quattro reclute avevano praticamente circondato Sara.
Lei continuava a mangiare come se nulla fosse.

«Secondo me dovresti chiedere scusa per aver preso il posto a un uomo» continuò Luca, alzando la voce. «E poi magari pensare a un incarico più adatto a te. In cucina, per esempio.»

Sara posò lentamente la forchetta sul vassoio e alzò lo sguardo verso i quattro ragazzi.

Il suo volto rimase calmo, ma nei suoi occhi era cambiato qualcosa.
Un osservatore qualsiasi non se ne sarebbe accorto, ma chiunque avesse esperienza in combattimento avrebbe riconosciuto il passaggio dalla vigilanza rilassata alla prontezza assoluta.

«Non mi interessa avere questa conversazione» disse a bassa voce.
«Vi suggerisco di tornare a farvi gli affari vostri.»

Nella mensa il rumore calò gradualmente.
Sempre più persone capivano che stava succedendo qualcosa di serio.

Anche il personale della cucina aveva notato la scena. Due addetti si scambiarono uno sguardo incerto, domandandosi se fosse il caso di chiamare la sicurezza.

Luca si piegò in avanti, appoggiando le mani sul tavolo di Sara.

«Non abbiamo finito di parlare con te» ringhiò. «Devi imparare a rispettare gli uomini che meritano davvero questa divisa.»

L’addestramento di Sara si attivò in automatico.
Quattro avversari, tutti più alti di lei, giovani, muscolosi, appena usciti dall’addestramento.
Si erano messi in modo da limitarle i movimenti, chiaramente per intimidirla.

Quello che non sapevano era che avevano appena commesso il più grande errore della loro, brevissima, carriera militare.

In giro per la mensa molti trattenevano il fiato.
Alcuni allungavano le mani verso il telefono: qualcuno con l’idea di chiamare la sicurezza, altri già pronti a registrare.

Sara spinse via il vassoio con un gesto lento e controllato e si alzò in piedi.

Si alzò con movimenti fluidi, nonostante fosse circondata da quattro ragazzi ostili.
Era leggermente più bassa di tutti loro, ma la sua postura trasmetteva una sicurezza che non aveva niente a che fare con la statura.

«Ultima possibilità» disse piano, ma la sua voce si sentì chiaramente nel silenzio che si era creato.
«Allontanatevi ora e possiamo far finta che non sia successo niente.»

Luca scoppiò a ridere, convinto di averla messa alle strette.

«Non sei nella posizione di fare minacce, signorina» replicò. «Siamo in quattro e tu sei da sola. Forse sei tu quella che dovrebbe allontanarsi.»

Marco fece un passo avanti, incoraggiato dalle parole dell’amico.

«Secondo me non è mai stata in un vero scontro in vita sua» disse, scuotendo la testa. «Queste militari donne parlano tanto, ma quando c’è da combattere…»

Quello che i quattro non sapevano era che Sara Martino, diciotto mesi prima, aveva concluso un addestramento durissimo con un reparto anfibio d’élite della Marina, uno di quelli di cui ufficialmente quasi non si parla.

Solo pochissime donne erano riuscite a superare quel percorso.
Nel suo fascicolo ufficiale risultava come “specialista logistica”, un incarico di copertura studiato apposta per nascondere la sua vera identità e le sue reali capacità operative.

Durante quell’addestramento, Sara aveva imparato a muoversi in ambienti ostili, a usare diverse tecniche di combattimento e a prendere decisioni in una frazione di secondo sotto pressione estrema.

Le quattro reclute che la circondavano non avevano la minima idea che di fronte a loro c’era una delle operatrici più preparate delle forze speciali navali.

Tommaso si avvicinò ancora, cercando di intimidire Sara con la sua presenza fisica.

«Secondo me ha paura» la punzecchiò. «Guardatela lì inchiodata in piedi. Sa benissimo che contro di noi quattro non ha speranze.»

L’addestramento di Sara le aveva insegnato a leggere i corpi, i piccoli segnali, la tensione nelle spalle, le mani che stringono, lo sguardo che sfugge.

Capiva che Luca era il capo del gruppetto, il più aggressivo.
Marco sembrava nervoso ma deciso a dimostrare qualcosa.
Tommaso era il più rumoroso, ma quasi certamente il meno disciplinato in combattimento.
Davide appariva a disagio, ma si lasciava trascinare.

Nella sua mente, Sara stava già preparando la risposta, nel caso la situazione degenerasse davvero.

Le avevano insegnato a chiudere uno scontro in pochi secondi, con il minimo uso di forza necessario, ma senza esitare se serviva essere più dura.
E in uno spazio chiuso come la mensa, il vantaggio non era per i più grossi, ma per chi sapeva muoversi bene.

«Vi do un’altra occasione per calmare le acque» disse, con la stessa voce calma di prima. «Siete giovani, avete sbagliato, ma potete ancora rimediare. Non peggiorate le cose.»

Attorno a loro ormai quasi tutti guardavano apertamente la scena.
Alcuni telefoni erano visibilmente alzati.
Qualche sottufficiale anziano si stava già alzando, decidendo se intervenire.

Davide cominciò ad avere seri dubbi.
C’era qualcosa in quel modo di stare in piedi, nella calma di Sara, che non gli tornava.
Quasi nessuno, circondato in quel modo, sarebbe rimasto così lucido.

«Ragazzi, forse è meglio lasciarla in pace» mormorò.

«Stai zitto, Davide» lo zittì Luca, senza neanche guardarlo. «Non diventare sentimentale adesso.»

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