Quel ragazzo che prese a schiaffi un vecchio eroe davanti a trenta camionisti e cambiò per sempre

«Mi ha mancato di rispetto…»

«E come?» dice lei, passandogli davanti senza neanche guardarlo. Si inginocchia accanto a Giovanni. «Signor Rinaldi, mi sente? Sono Sara, quella del terzo piano, si ricorda? Quella che veniva da lei a fare i compiti in cucina perché a casa mia non c’era posto tranquillo…»

Giovanni strizza gli occhi. Senza l’apparecchio sente poco, ma la riconosce dal viso. «Sara… la ragazzina con le trecce… adesso fai l’infermiera?»

«Sì, grazie alla lettera di raccomandazione che mi ha scritto lei per la scuola. Mi può dare la mano? Proviamo ad alzarci piano.»

Due dei miei compagni lo sollevano delicatamente mentre Sara controlla le ferite con gesti sicuri. Il ragazzo prova ad allontanarsi, ma Carlo gli si piazza davanti.

«Dove vai?»

«Non devo restare qui. Non ho fatto niente.»

Nel frattempo, gli altri ragazzi hanno smesso di filmare e stanno cancellando in fretta i video dai telefoni. Nessuno vuole più prove in giro.

«Luca» dice Sara, senza voltarsi, mentre fascia la mano di Giovanni con una garza. «Sai perché il signor Rinaldi viene qui ogni giovedì?»

«Non m’importa…»

«Sua moglie è sepolta al cimitero dietro la collina. Ogni giovedì va a portarle un fiore. Poi viene qui, prende il caffè e un gratta e vinci, perché Anna diceva sempre che un giorno avrebbero vinto. Non ha mai preso più di cinquanta euro, ma lui continua. Dice che così le parla ancora un po’. E tu lo metti a terra, lo prendi in giro, lo filmi… per cosa? Per far ridere quattro sconosciuti sul telefono?»

Intorno a noi si è fermata mezza area di servizio. Autisti, famiglie, lavoratori in pausa: tutti conoscono Giovanni. Tutti guardano Luca.

Il barista esce con una cassetta di pronto soccorso e un vassoio. «Signor Giovanni, questo è per lei. Caffè e acqua, offerti dalla casa. E da oggi non paga più, chiaro?»

In quel momento vediamo l’apparecchio acustico. È vicino a una ruota di macchina. Qualcuno lo recupera e me lo porge. È schiacciato, la plastica crepata.

«Sai quanto costa una cosa così?» chiedo a Luca, mostrandoglielo. «Un bel po’. Spero che le visualizzazioni ti bastino a pagarlo.»

«Non ho quei soldi…»

«Allora inventati qualcosa» dico secco.

Sara si alza, i polsi sporchi di sangue. «Luca, tra noi è finita. Non posso stare con uno che umilia gli anziani per fare il figo. Uno che si mette contro chi ha aiutato tutta la vita il nostro quartiere.»

«Ti prego…»

«No. Mia nonna ti avrebbe mandato via a calci. Esci da casa mia entro stasera. Lascia le chiavi sul tavolo.»

Si gira di nuovo verso Giovanni. «Ora vediamo se ha bisogno di andare in pronto soccorso.»

Dieci minuti dopo arrivano i carabinieri. Giovanni, com’è nel suo carattere, rifiuta di sporgere denuncia.

«Ha già perso abbastanza oggi» dice guardando Luca. «La ragazza, la faccia, la reputazione. A volte è una pena peggiore di una multa.»

Ma io non ho finito.

«Luca, giusto?»

Annuisce, la testa bassa, l’aria di un bambino pizzicato a rubare le caramelle.

«Pagherai questo apparecchio. Anche se ci metterai anni. E comincerai a fare volontariato al centro diurno dove Giovanni va a leggere i giornali agli anziani soli. Imparerai chi erano queste persone prima che tu nascessi. Imparerai il rispetto.»

«E se non vengo?» prova a ribellarsi.

Sorrido. Non è un bel sorriso. «Vedi quelle telecamere?» Indico i piccoli occhi neri sulla parete dell’area di servizio. «Hanno registrato tutto. Ogni secondo. Anche quando ti vantavi davanti agli amici. Il video non lo controllerà internet: lo controlleranno gli avvocati. La scelta è tua: riscatto o tribunale.»


Sei mesi dopo sono di nuovo lì, alla stessa area di servizio, per la riunione mensile dei “Fratelli della Strada”.

Giovanni è al solito tavolo, con l’apparecchio nuovo ben sistemato dietro l’orecchio. Sotto il tavolo, la bombola d’ossigeno. Davanti, caffè, bicchiere d’acqua e gratta e vinci.

Ma non è solo.

Seduto vicino a lui c’è Luca. Senza cappellino al contrario, senza atteggiamenti da duro. Solo un ragazzo con la barba non fatta, gli occhi stanchi ma attenti, che ascolta.

«Era inverno» sta dicendo Giovanni. «Neve fino alle ginocchia. La casa in montagna bruciava, noi correvamo con le scale sulle spalle. Il fumo ti entra nei polmoni, pensi di non farcela…»

«E lei?» chiede Luca. Non registra niente. Non ha il telefono in mano. Ascolta e basta.

«Abbiamo tirato fuori due bambini. Uno eri quasi tu» sorride Giovanni. «Stesso taglio di occhi. Quando si lavora in squadra, non importa chi sei, da dove vieni. Importa che tu tenga il tuo posto e aiuti l’altro.»

Luca annuisce. Da cinque mesi fa volontariato al centro anziani. Ha scoperto di essere bravo con i computer, così aiuta i vecchietti a fare videochiamate ai nipoti, a inviare foto, a non farsi fregare dalle truffe online. È strano vedere un ragazzo che fino a poco tempo prima filmava per deridere usare lo stesso strumento per connettere.

«Signor Giovanni» dice piano. «Io… mi dispiace. Ancora.»

«Mi hai già chiesto scusa cento volte» sbuffa il vecchio.

«Non basta.»

Giovanni gli mette una mano sulla spalla. «Da tempo le tue azioni valgono più delle tue parole. Sara mi ha detto che stai pensando di iscriverti a un corso di informatica serale.»

«Ho pensato che forse potrei fare qualcosa di buono con quello che so fare. Non solo cazzate sul telefono.»

«Mi ha anche detto che… state ricominciando a parlarvi.»

Luca abbassa lo sguardo, ma sorride. «Piano piano. Dice che devo dimostrare di essere cambiato, non solo dirlo.»

«È una ragazza intelligente» commenta Giovanni.

«Io sono stato uno stupido.»

«Lo siamo tutti, a volte.» sospira Giovanni. «La differenza sta in chi decide di rialzarsi e in chi continua a buttare giù gli altri.»

Mi avvicino al loro tavolo. «Giovanni. Luca.»

Luca si irrigidisce ancora un po’ quando mi vede. È normale. La prima immagine che ha di me è quella di trenta camionisti che gli chiudono la strada.

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