Quel ragazzo che prese a schiaffi un vecchio eroe davanti a trenta camionisti e cambiò per sempre

«Tranquillo, ragazzo» dico. «Volevo solo dire a Giovanni che sabato facciamo un giro di solidarietà. Camion in fila per raccogliere fondi per il centro anziani. Vieni anche tu?»

Giovanni ride. «Ho ottantun anni, Marco, e un’anca che scricchiola. Cosa vuoi che faccia su un tir?»

«Ti metti nel furgone d’appoggio, a fare compagnia all’autista» rispondo. «Non c’è età per stare in buona compagnia.»

Ci pensa un attimo. «Vediamo.»

Guardo Luca. «Se vuoi, puoi venire pure tu. Non serve la patente del tir per aiutare.»

«Io… non so niente di camion.»

«Neanche Giovanni sapeva niente quando è salito sul primo mezzo dei vigili del fuoco» ribatto. «Magari ti insegna qualcosa.»

Mentre torno verso il bancone, li sento parlare.

«Davvero mi insegneresti?» chiede Luca.

«Magari. Ma prima grattami questo biglietto. Le mani non mi stanno più ferme come una volta.»

Luca gratta piano. «Signor Giovanni… ha vinto mille euro.»

Giovanni guarda il biglietto, poi alza gli occhi al soffitto. «Anna, ci hai messo quindici anni ma alla fine avevi ragione: prima o poi avremmo vinto.» Si gira verso Luca. «E non sto parlando solo dei soldi.»


Il sabato del giro di solidarietà, Giovanni siede davanti, nel furgone d’appoggio, mentre Luca guida piano in coda ai tir. Hanno raccolto cinquemila euro per il centro anziani.

Luca non è diventato all’improvviso un santo. Ma viene a tutti gli eventi, collega i tablet, organizza le donazioni online, trasmette in diretta l’arrivo dei camion. Usa gli stessi trucchi che prima usava per prendere in giro, ora per convincere la gente a donare.

Il video dello schiaffo non è mai finito in rete. È stato cancellato, dimenticato. Al suo posto, mesi dopo, gira un altro filmato: Luca che aiuta Giovanni a salire sul palco del centro anziani per ricevere un premio come volontario dell’anno.

Sotto, una didascalia scritta da Luca:
«Sei mesi fa l’ho buttato a terra. Oggi lui mi chiama “ragazzo mio”. Questo è il volto del perdono.»

Quel video sì che finisce ovunque. Viene condiviso da parenti, amici, sconosciuti. Non perché c’è violenza, ma perché c’è cambiamento.

Sara, alla fine, torna da Luca. Non subito. Lo fa aspettare, lo fa sudare, lo fa dimostrare. Adesso sono fidanzati. Il padre di lei non c’è più da anni e sarà Giovanni ad accompagnarla all’altare.

Ma il momento che mi resta più impresso è un altro.

Giovedì scorso, sempre alle tre, sempre allo stesso tavolo. Giovanni e Luca giocano a scopa con un mazzo di carte consumate. Giovanni tira fuori un piccolo oggetto di legno, consumato dal tempo.

«Questo» dice, «era di mio padre. Lo portava in tasca quando andava in fabbrica. Diceva che gli ricordava che la vita è un gioco che si vince solo se non bari. Un giorno lo darò a qualcuno che se lo merita.»

«È bello» mormora Luca. «Io… non credo di meritarlo.»

«Non ancora» sorride Giovanni. «Ma stai andando nella direzione giusta.»

Il barista porta due caffè. «Per voi, come sempre, offerti dalla casa.»

«Non puoi continuare così» borbotta Giovanni. «Devi pur vivere.»

«Vivo meglio sapendo che il signor Giovanni e il suo ragazzo stanno bene» risponde il barista. «Qui, gli eroi bevono gratis. E chi impara dai propri errori pure.»

«Non sono un eroe» dice Luca di scatto.

Giovanni lo guarda serio. «Gli eroi non sono perfetti. Sono quelli che, dopo aver sbagliato, scelgono ogni giorno di fare meglio.»

Quando esco dall’area di servizio con il tir, li vedo attraverso il vetro. Luca prende la bombola d’ossigeno, sistema il tubo, offre il braccio a Giovanni per accompagnarlo fino alla macchina. Le stesse mani che un tempo lo hanno colpito ora lo sostengono.

È questo il suono del riscatto, penso. Non è rumoroso come uno schiaffo. È fatto di passi lenti nel parcheggio, di biglietti grattati insieme, di telefonate ai nipoti dal centro anziani. È fatto di presenza.

Nel nostro piccolo magazzino, dove teniamo striscioni e scatoloni per le raccolte, oggi c’è una mensola nuova. Sopra, l’apparecchio acustico rotto di Giovanni, quello volato via quell’ormai famoso giovedì.

L’abbiamo fatto montare su una base di legno. Sotto, una targa:

«Il rumore del riscatto è più silenzioso di quello della violenza. Ma dura molto di più.»

Luca l’ha appesa da solo. Giovanni l’ha aiutato a trovare le parole giuste.

E ogni volta che la guardo, mi ricordo che quel giorno non abbiamo solo difeso un vecchio amico. Abbiamo dato a un ragazzo l’occasione di diventare l’uomo che avrebbe sempre potuto essere

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