La bambina sarà avuta sei anni, non di più, quando si è avvicinata al mio furgone in piena notte, scalza sull’asfalto freddo, stringendo una bustina di plastica piena di monetine e chiedendomi di comprare latte in polvere per il fratellino.
Indossava un pigiamino sottile con un disegno ormai scolorito, sporco di strada, e le lacrime le avevano lasciato due righe pulite sulle guance nere di polvere.
Ero fermo a fare rifornimento in un distributore aperto 24 ore, sulla tangenziale, dopo una giornata infinita di turni come volontario. Volevo solo tornare a casa, farmi una doccia, dormire.
Invece lei tremava mentre mi porgeva quella bustina di plastica gonfia di spiccioli, proprio a me – un uomo grande, con la barba bianca, la giacca arancione dell’associazione e la faccia stanca – e non alla coppia elegante che faceva benzina a poche pompe di distanza.
«Per favore, signore,» sussurrò, lanciando un’occhiata a un vecchio furgone parcheggiato nell’ombra. «Il mio fratellino piccolo non mangia da ieri. A noi bambini non vendono il latte. Ma lei… lei sembra uno che capisce.»
Guardai il furgone, poi i suoi piedi nudi sul cemento gelido, poi il piccolo bar del distributore, dove il ragazzo dietro al bancone ci osservava con diffidenza. Qualcosa non tornava. Niente di tutto questo era normale.
«Dove sono i tuoi genitori?» chiesi piano, accovacciandomi nonostante il ginocchio che protestava da anni.
I suoi occhi corsero di nuovo verso il furgone. «Dormono. Sono… stanchi. Tanto stanchi. Da tre giorni.»
Tre giorni. Sentii un gelo salirmi dalla schiena.
Io certe cose le avevo già viste, prima di andare in pensione dai vigili del fuoco, prima di iniziare con l’associazione di volontariato “Angeli della Strada”.
«Come ti chiami, piccola?»
«Giulia.» Deglutì. «Per favore, il latte in polvere. Luca piange sempre… e io non so più cosa fare.»
Mi alzai piano, decisione presa. «Giulia, io il latte lo compro, va bene? Ma tu resti qui vicino al mio furgone. Promesso?»
Lei annuì subito, spingendomi nelle mani la bustina di monetine. Non la presi.
«Tieni i tuoi soldi. Ci penso io.»
Entrai nel bar del distributore e presi latte in polvere, biberon, acqua, biscotti, qualche merendina, cose che si possono mangiare subito. Il ragazzo alla cassa, non molto più grande di lei, mi seguiva con lo sguardo inquieto.
«Quella bambina viene spesso?» chiesi a bassa voce.
Sospirò. «Negli ultimi tre giorni sì. Ogni notte con qualcuno diverso. Chiede latte per il fratellino. Ieri ha provato a pagare da sola, ma io… le regole dicono che certi prodotti ai minori da soli non si vendono…»
«Hai rimandato indietro una bambina che voleva comprare latte per un neonato?» La mia voce era diventata più bassa, pericolosa.
Il ragazzo arrossì. «Ho chiamato i servizi sociali! Mi hanno detto che senza un indirizzo preciso… che avrebbero segnalato… Io…»
Misi le banconote sul bancone con un colpo secco e uscii senza aggiungere altro.
Giulia era sempre lì, vicino al mio furgone, ma adesso oscillava sulle gambe come se stesse per crollare.
«Quando hai mangiato l’ultima volta?» le chiesi.
«Forse martedì. O lunedì.» Fece un piccolo gesto con le spalle. «Ho dato a Luca gli ultimi crackers.»
Era giovedì notte. Quasi venerdì ormai.
Le misi in mano il sacchetto con il latte e il resto. «Dov’è Luca?»
Lo sguardo le corse di nuovo al furgone. Lottava con sé stessa. «Non dovrei dirlo agli estranei.»
Respirai a fondo. «Giulia, io mi chiamo Marco. Vedi qui?» Le mostrai la scritta fluorescente sulla giacca: “Angeli della Strada – Vicini a chi è in difficoltà”. «Siamo volontari. Aiutiamo le persone in pericolo, soprattutto i bambini. Secondo me tu e Luca avete bisogno d’aiuto.»
Le labbra le tremarono. Poi si ruppe. Scoppiò in un pianto silenzioso, senza quasi voce, ma con singhiozzi che scuotevano tutto il suo corpicino.
«Non si svegliano più,» mormorò. «Li scuoto, li chiamo, ma non si svegliano. E Luca ha fame, sempre fame, piange, piange… e io… io non so più cosa fare.»
I miei timori si trasformarono in certezza. Presi il telefono.
Prima chiamai Antonio, il coordinatore dell’associazione. «Toni, sono al distributore sulla tangenziale est, quello dopo l’uscita per il centro commerciale. Portami il furgone dei volontari e chiama anche Chiara, quella che fa l’infermiera. È urgente.»
«Marco, che succede?»
«Bambini. E forse due adulti messi molto male. Sbrigatevi.»
Poi digitai il 112 e segnalai un’emergenza medica con minori coinvolti.
Tornai da Giulia. «Adesso andiamo a vedere Luca, va bene? Stanno arrivando i miei amici e l’ambulanza. Nessuno ti porterà via da sola, te lo prometto.»
Lei annuì, stringendo il sacchetto di latte come fosse un tesoro, e mi guidò verso il furgone.
L’odore mi colpì appena aprii il portellone: urina, spazzatura, cibo avariato, e quel sentore dolciastro che conosco troppo bene.
Su un mucchio di coperte sporche, un neonato di pochi mesi piangeva con una voce fioca, stremata. Il pannolino era gonfio, il corpicino troppo leggero tra le braccia quando lo sollevai.
Davanti, sui sedili, due adulti. Una donna e un uomo, la testa riversa all’indietro, il respiro appena percettibile. Sul cruscotto, cucchiai anneriti, siringhe, boccette vuote.
Controllai il polso. Debole, ma c’era.
«Giulia, da quanto tempo sono così?» chiesi.
Si torceva le mani. «Non lo so. Zia Paola e il suo compagno… Prima ridevano sempre. Poi hanno cominciato con quella “medicina che fa dormire”. Da tre giorni dormono sempre. Io li chiamo, ma… niente.»
Il neonato piagnucolò piano. «Questo è Luca?»
Lei annuì, passandosi un pugno sugli occhi. «La mamma è morta l’anno scorso. Tumore. La zia ha detto che ci avrebbe pensato lei. Poi è arrivato Mirko e… e tutto è cambiato.»
Sentii in lontananza il suono di una sirena. Poi un altro. Poco dopo anche il rumore familiare del furgone della nostra associazione.
Chiara scese per prima, con la pettorina gialla e lo zaino medico sulle spalle. «Dov’è il piccolo?»
Glielo porsi con delicatezza. Lei iniziò subito a controllarlo, a parlargli piano, a sistemarlo in una copertina pulita.
Antonio arrivò dietro di lei, guardando la scena con occhi duri. «Da quanto sono così?»
«La bambina parla di tre giorni.»
«Dio santo.»
L’ambulanza entrò nell’area del distributore pochi minuti dopo. In un attimo ci furono lampeggianti blu, paramedici, Carabinieri. Somministrarono un farmaco di emergenza agli adulti, li stabilizzarono, li caricarono in ambulanza, separati.
Giulia si schiacciò contro il mio fianco, tremando. «Gli portano via Luca?» balbettò. «Ho cercato di fare la mamma. Giuro che ci ho provato. Non è colpa sua se loro dormono sempre. È colpa nostra?»
Mi rimisi in ginocchio, il ginocchio che urlava ma il cuore più forte. «Giulia, hai nove anni e hai tenuto in vita tuo fratello con una bustina di monetine e tanto coraggio. Nessuno qui penserà che è colpa tua, capito? Tu oggi ci hai salvato la vita, a noi, perché ci hai dato la possibilità di intervenire.»
Un’assistente sociale del Comune arrivò poco dopo, con una cartellina in mano e il volto stanco. «Dobbiamo trovare una sistemazione per i minori,» disse, guardando Giulia e il neonato tra le braccia di Chiara.
«Insieme,» dissi senza pensarci. «Restano insieme.»
«Non è sempre possibile,» rispose lei, con quella voce neutra che usano quelli che hanno visto troppe storie simili. «Dipende dai posti disponibili, dalle famiglie…»
Antonio fece un passo avanti. Non è un uomo alto, ma quando indossa la pettorina con scritto “Responsabile Squadra” sembra gigante. «Mi scusi, dottoressa. Questa bambina fa la mamma da mesi. Se li separate oggi, li spezzate in due. E noi non possiamo far finta di niente.»
Nel frattempo erano arrivati altri volontari. Le nostre giacche arancioni illuminavano il parcheggio più delle luci al neon. Non erano motociclisti con giubbotti di pelle e toppe, ma operai, impiegati, pensionati, ex infermieri, ex pompieri come me. Persone normali che la sera indossano un giubbotto catarifrangente e vanno dove gli altri preferiscono non guardare.
L’assistente sociale si passò una mano tra i capelli. «La situazione è complessa…»
«No,» dissi. «È semplice. Loro hanno bisogno di un posto sicuro, insieme, subito. Nell’associazione abbiamo una coppia affidataria già registrata al Tribunale per i Minorenni. Antonio e Marta Rinaldi. Lui ex autista di ambulanza, lei maestra di scuola dell’infanzia. Hanno già fatto affidi di emergenza. Possono prendere Giulia e Luca stanotte.»
Chiara, che stava ancora valutando il piccolo, annuì. «Il bambino è disidratato e denutrito, ma con cure immediate ce la farà. Ha bisogno di un posto caldo, pulito, e di qualcuno che sappia cosa fare.»
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