Quindici ex vigili del fuoco irrompono in pediatria alle tre di notte per un bambino dimenticato da tutti

«E la sua valutazione psicologica? Si ricorda la nota sulla depressione grave? Sul rifiuto del cibo? Sul “mancato progresso” scritto più volte in cartella?»

«Questo non significa che possiamo permettere—»

«Guardi», lo interruppe Lucia, indicando la stanza.

Luca sorrideva. Non un sorriso educato, di circostanza, ma un sorriso pieno, così grande da quasi cancellare per un momento il grigiore della sua pelle. Portava la giacca di “Piccolo Soccorritore” e cercava di infilare le mani in un paio di guanti da lavoro di Orso, enormi su di lui.

Gli altri bambini erano vigili, presenti, attenti. Gli occhi non erano persi nel vuoto, ma puntati su quei volontari come se fossero supereroi.

«C’è la medicina», disse Lucia, a voce più bassa, «e c’è la guarigione. Non sempre sono la stessa cosa. Questi bambini stanno morendo, dottore. Alcuni si riprenderanno, altri no. Ma ora? Ora stanno vivendo. E questo, per una notte, vale più di tutte le stanze perfettamente in ordine.»

Il giovane medico sembrò pronto a ribattere, poi vide Luca che spiegava a un altro bambino la “stretta segreta” che aveva appena imparato. Il sorriso di entrambi era così genuino che, per un attimo, non sembravano neppure malati.

«Un’ora», concesse infine. «Una sola ora. E se qualcuno dovesse avere complicazioni…»

«Ce ne occuperemo», rispose Lucia. «La medicina è sempre una questione di rischio e beneficio. E il beneficio, stasera, non si può misurare con gli esami del sangue.»

Alle quattro del mattino, mentre i volontari iniziavano a prepararsi per andare via, Luca afferrò la mano di Orso.

«Torni?» chiese.

«Ogni settimana, piccolo collega», rispose l’uomo. «Qualcuno di noi sarà sempre qui. Fino a quando…» esitò un attimo, «fino a quando vorrai che veniamo.»

Entrambi sapevano che forse non ci sarebbe stato molto tempo. La prognosi era di poche settimane, al massimo un mese. Ma la promessa restò sospesa nell’aria come una corda a cui aggrapparsi.

«Posso tenere la giacca?» domandò Luca.

«È tua», disse Orso. «Matteo sarebbe fiero di sapere che la porta un altro guerriero.»

Uno alla volta, i volontari uscirono dalla stanza. Ognuno si fermò a dare un pugno delicato con il pugno contro il pugno di Luca, poi fece lo stesso con ogni bambino che incontrava nel corridoio. Lasciarono dietro di sé camion giocattolo, caschi di plastica, adesivi… e qualcosa di molto più prezioso: la promessa che sarebbero tornati, e la sensazione, per quei bambini, di appartenere a una squadra.

Lucia li accompagnò fino all’ascensore.

«Grazie», disse semplicemente.

Orso fece un mezzo sorriso. «Siamo i Fratelli del Soccorso», spiegò. «Il nostro motto è: “Nessuno affronta l’incendio da solo”. Vale anche per i bambini che combattono malattie che noi nemmeno capiamo. Luca è uno di noi, adesso. E questo conta.»

«Tuo figlio…» iniziò Lucia.

«Mi ha insegnato che i guerrieri più forti sono quelli nei letti d’ospedale», rispose Orso. «Bambini che guardano la paura negli occhi ogni giorno. Onoriamo Matteo onorando loro.»

Quando l’ascensore si chiuse, Lucia tornò al reparto. Trovò Luca ancora sveglio, con la foto che Orso gli aveva lasciato stretta in mano: un bambino con la stessa giacca, seduto su un letto d’ospedale con un sorriso incredibilmente simile al suo.

«Infermiera Lucia?» chiese Luca, con quella spontaneità che spiazza sempre gli adulti. «Morirò?»

Lucia aveva sentito quella domanda tante volte, ma non ci si abitua mai.

«Non lo so, tesoro», rispose onestamente.

«Matteo è morto», disse lui, guardando la foto. «Ma aveva gli amici, i fratelli. Adesso li ho anch’io.» Sfiorò la giacca con le dita. «Se muoio, non sarò solo. È meglio, vero?»

La corazza professionale di Lucia si incrinò.

«Sì, amore mio», disse piano. «È meglio.»

«Avrai problemi per averli lasciati entrare?» chiese lui, già con le palpebre pesanti.

«Forse», ammise lei. «Ma a volte rompere le regole è la cosa giusta.»

«Come fanno i pompieri», mormorò Luca, già mezzo addormentato. «La gente pensa che fanno casino, che non seguono le regole… invece sono buoni. Sono venuti per me.»

La mattina dopo, l’amministrazione era furiosa.

Lucia fu chiamata nell’ufficio del direttore sanitario, pronta al peggio. Già immaginava la lettera di richiamo, forse qualcosa di peggio.

Ma la sala d’attesa era piena.

C’erano i genitori dei bambini che avevano passato la notte nella stanza 12. Alcuni, che non si vedevano da giorni, erano tornati dopo che i figli, al telefono, avevano parlato dei “pompieri notturni”.

«Mia figlia ha parlato per la prima volta da settimane», disse una madre.

«Mio figlio ha mangiato la colazione. Non lo faceva da quando ha iniziato la terapia», aggiunse un padre.

«Quegli uomini hanno dato ai nostri figli qualcosa che noi non potevamo dare», disse un’altra madre con gli occhi pieni di lacrime. «Un po’ di normalità. Un po’ di gioco. Un po’ di speranza.»

Una televisione locale aveva già mandato in onda la notizia: “Ex vigili del fuoco fanno visita ai bambini malati nel cuore della notte”. Il post di Elena era esploso, condiviso e commentato da migliaia di persone. In ospedale iniziavano ad arrivare offerte di donazioni per il reparto pediatrico. Molte con una semplice dedica: “Per Luca e i Fratelli del Soccorso”.

Il direttore guardò Lucia da sopra gli occhiali.

«Ha violato una quantità notevole di protocolli», disse calmo.

«Sì», rispose Lucia, senza cercare scuse.

«Ha permesso l’ingresso a persone non autorizzate nel pieno della notte.»

«Sì.»

«Ha consentito un assembramento in un reparto delicato, con bambini immunodepressi.»

«Sì.»

L’uomo tacque per un istante, poi prese un foglio.

Clicca il pulsante qui sotto per leggere la prossima parte della storia. ⏬⏬

Scroll to Top