Sotto l’Aurora di Natale: Non Aspetterò Più una Sedia Pieghevole

Mi spoglio lentamente, mi infilo sotto le coperte e, prima di spegnere la luce, prendo dal portafoglio una foto piccola, consumata agli angoli. Io ed Enzo, al mare, tanti anni fa. Lui abbronzato, sorriso largo, io con i capelli più scuri e gli occhi che non sapevano ancora quante volte avrebbero dovuto essere forti.

«Ce l’ho fatta,» gli sussurro. «Siamo arrivati.»

Non so se mi sente. Ma io mi sento. E per anni è stato quello che mancava.

Il giorno di Natale mi sveglio presto. Fuori è ancora buio, ma un buio più chiaro, come se il cielo stesse pensando di aprirsi. Mi vesto e scendo nella sala colazione.

Ci sono poche persone. Un uomo anziano legge un giornale in una lingua che non riconosco. Una coppia si passa una tazza di caffè come se fosse un rituale. Io prendo pane, burro, marmellata. Sembra poco, ma non è “pane e formaggio” di sconfitta. È pane e burro di viaggio. È diverso. Il contesto cambia il sapore delle cose.

Mi siedo vicino alla finestra. Il vetro è freddo. Appoggio la fronte per un secondo e guardo fuori: il porto, la neve, una barca scura che sembra addormentata. E poi, come se il mondo volesse farmi un regalo personale, un raggio rosa pallido compare all’orizzonte. Un’alba timida, quasi vergognosa.

Il telefono vibra ancora.

Dario.

Non un messaggio. Una foto.

È il loro tavolo. A casa loro. La tavola perfetta, sì, ma stavolta c’è qualcosa che mi fa stringere il cuore in modo diverso: un piatto semplice, bianco, apparecchiato davvero, con un tovagliolo piegato e un piccolo biglietto accanto.

Ingrandisco.

Sul biglietto c’è scritto, in una grafia che riconosco: quella di Dario quando era ragazzo.

“Per la mamma. Sempre.”

Le lacrime mi salgono, senza chiedere permesso. E io le lascio fare. Perché piangere, quando non sei più vuota, non è crollare. È irrigare.

Mi asciugo il viso. Poi, invece di buttarmi dentro quel calore come una persona che affoga e vede una barca, faccio qualcosa di nuovo.

Sorrido.

E scrivo:

“Grazie. È bello. Ma il mio posto non è ‘sempre’ se significa ‘quando vi ricordate’. Il mio posto è anche quando mi scelgo.”

Poi aggiungo, più morbida:

“Torno a Modena tra qualche giorno. Ci vediamo. E parliamo.”

Non scrivo scusa. Non scrivo non volevo. Non scrivo ho esagerato.

Scrivo ci vediamo.

Come fanno gli adulti tra adulti.

Quel pomeriggio esco da sola. Cammino lungo una strada dove i lampioni sembrano perle gialle infilate nella neve. Il vento mi pizzica le orecchie. Ogni tanto mi fermo e guardo il cielo, anche se so che l’aurora non si comanda. Ma mi piace l’idea di aspettare non per bisogno, bensì per desiderio.

Entro in una piccola chiesa. Non so nemmeno se sia cattolica o luterana. È semplice, di legno chiaro. Dentro c’è odore di cera e silenzio. Mi siedo su una panca.

Non prego come si prega da giovani, quando si chiede qualcosa. Io non chiedo più. Io ringrazio. E, senza sapere perché, penso a mia nuora. A quella frase: Non ti aspettavamo proprio.

Forse anche lei, in quel momento, stava solo difendendo il suo equilibrio, il suo tavolo perfetto, la sua idea di vita. Forse non si è accorta di cosa stava facendo. O forse sì. Non importa.

Perché la cosa più rivoluzionaria che posso fare non è farla sentire in colpa.

È non farmi più male da sola.

Quando esco dalla chiesa, la neve ha smesso di cadere. Il cielo è pulito. E, come se avesse aspettato che io capissi, un velo verde pallido ricompare sopra i tetti. Non forte. Non esplosivo. Un sussurro.

Mi viene da ridere piano, da sola, per strada. La gente mi guarda e io non mi vergogno.

Mi fermo. Alzo la testa. L’aurora è lì, discreta, come una promessa che non urla.

E penso a Dario, a Modena, a Via Giardini, al mio portone scuro.

Penso anche a me, che per anni ho lasciato che la mia vita fosse una stanza d’attesa.

E adesso no.

Adesso io cammino.

Non perché qualcuno mi chiama.

Ma perché io ho ancora strada dentro.

E mentre il verde e il viola si muovono come una danza lenta sopra di me, capisco un’ultima cosa, la più importante:

Non ho smesso di essere madre.

Ho solo smesso di essere l’ultima della lista.

Buon Natale, Livia.

Buon Natale a chi decide di non sparire più.

Scroll to Top