Una lezione di vita toccante che ci insegna a non dare mai per scontato il tempo

Marco ha serrato l’ultimo bullone con uno scatto secco del polso. Un movimento perfetto.

“Io volevo fare il liceo scientifico, forse ingegneria. Tutti mi dicevano che ero sprecato per il cantiere. Ma poi ho pensato a quello che ha detto lei. ‘Senza gli artigiani, l’Italia si ferma’. Ho scelto l’istituto tecnico. Poi ho fatto l’apprendistato. Oggi ho una piccola ditta di termoidraulica e restauro impianti. Ho tre dipendenti. E sa una cosa? Non cerchiamo clienti. Abbiamo una lista d’attesa di sei mesi.”

Si è alzato, si è pulito le mani con uno straccio e ha premuto il pulsante di riavvio. La pompa ha ronzato. La scintilla è scoccata. E poi, quel suono meraviglioso: il vrooom sordo e potente della fiamma che si accende. Il calore ha iniziato a irradiarsi quasi subito.

“Ce l’abbiamo fatta,” ha detto Marco, sorridendo. “Ce l’hai fatta tu, ragazzo,” ho corretto io. “No,” ha scosso la testa. “Io ho solo girato le viti. Lei mi ha insegnato perché è importante farlo.”

Siamo usciti dalla cantina mentre i termosifoni della canonica iniziavano a ticchettare, segno che l’acqua calda stava salendo. Fuori era buio, nevicava leggermente. Don Luigi ci è corso incontro, quasi in lacrime, stringendoci le mani. “Grazie! Avete salvato il Natale a venti persone!”

Marco ha rifiutato i soldi che il prete voleva offrirgli. “È un regalo,” ha detto. “Per la comunità. E per un vecchio amico.” Ha indicato me.

Mentre ci avviavamo verso il parcheggio, ho notato il suo furgone. Nuovo, ordinato, con la scritta “TermoTecnica M.R.” sulla fiancata. “M.R.?” ho chiesto. “Marco e Roberto,” ha risposto. “Roberto è mio padre. Non lavora più, ma ho voluto il suo nome sulla ditta. È lui che mi ha insegnato a tenere la schiena dritta, anche quando stai piegato sotto un lavandino.”

Ci siamo fermati davanti alla mia vecchia utilitaria. Il freddo mi mordeva le gambe, ma dentro sentivo un calore che non veniva dalla caldaia. “Elio,” mi ha detto Marco, diventando serio.

“Vedo tanti ragazzi oggi che non sanno cosa fare. Sono smarriti. Hanno paura del futuro perché nessuno gli ha insegnato che il futuro si può costruire con le proprie mani. Letteralmente.” Ha tirato fuori un biglietto da visita dalla tasca. “Sto cercando un supervisore per la formazione dei miei apprendisti. Qualcuno che non insegni solo la tecnica, ma… il senso di tutto questo. La passione. Non è un lavoro pesante, solo qualche ora a settimana. Per insegnargli a guardare il lavoro come lo guardava lei mentre parlavamo laggiù. Le andrebbe?”

Ho guardato quel pezzo di carta. Poi ho guardato le mie mani. Erano vecchie, macchiate, storte. Ma per la prima volta dopo tre anni, non mi sono sembrate inutili. Mi sono sembrate un archivio. Una biblioteca di sapere che rischiava di andare al macero, e che invece qualcuno voleva ancora consultare.

“Non sono aggiornato sulle nuove caldaie a condensazione elettroniche, Marco,” ho detto, cercando di nascondere l’emozione nella voce. “Le caldaie cambiano, Elio,” ha risposto lui, aprendo la portiera del suo furgone. “Ma l’onestà, la dedizione e il saper risolvere i problemi quando il gioco si fa duro? Quelle cose non cambiano. Ed è quello che manca.”

Quella sera, a cena con Viola e la mia famiglia, non mi sono sentito un ospite in un mondo che non capivo più. Mentre mia nipote parlava dei suoi progetti futuri, l’ho interrotta dolcemente.

“Viola,” ho detto.

Tutti si sono girati.

“Hai studiato tanto e sono fiero di te. Ma ricordati una cosa, nel tuo lavoro da manager. Quando guardi un bilancio o un grafico, ricordati che dietro ogni numero c’è una persona che si alza alle cinque del mattino. C’è un padre che torna a casa sporco di calce. C’è un ragazzo che ripara una caldaia alla vigilia di Natale perché nessuno resti al freddo. Il mondo non si regge sulla carta. Si regge sulle spalle di chi lo costruisce e lo ripara ogni giorno.”

Viola mi ha guardato, sorpresa, e poi ha sorriso. Un sorriso vero. “Hai ragione, nonno.”

La prossima settimana inizio in ditta da Marco. Ho tirato fuori la mia vecchia giacca blu. L’ho lavata e stirata. Ha qualche rammendo e il colore è un po’ sbiadito sui gomiti, ma è ancora robusta. Come noi. Non siamo un “piano B”. Siamo le fondamenta.

E finché ci sarà bisogno di acqua calda, di un tetto sicuro e di una luce accesa nel buio, noi ci saremo. A volte basta solo che qualcuno, un giorno, ti dica: “Abbiamo bisogno di mani d’oro come le tue”.

 A me lo hanno detto tanti anni fa, e io l’ho detto a un bambino dai capelli rossi. E ora, quel bambino lo sta dicendo a qualcun altro. È così che il mondo continua a girare. Un tubo alla volta, una vite alla volta, una generazione alla volta.

Elio, idraulico. E ora, anche Maestro.

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