La bambina con la lettera stropicciata che ha distrutto una bugia di otto anni in un giorno

Continuò a leggere.

So cosa stai pensando. So che il modo in cui ci siamo lasciati è stato doloroso e pieno di malintesi. Ma, Lorenzo, nostra figlia adesso ha bisogno di te, e io non ho più nessun altro a cui rivolgermi.
Sto morendo. I medici mi danno forse due mesi, forse meno. Ho speso tutti i miei risparmi in cure che hanno solo rallentato l’inevitabile. Sofia non sa quanto sia grave la mia situazione, ma sente che qualcosa non va.
Sofia è tutto il bello che c’è in noi due. Ha la tua intelligenza, la tua determinazione e i tuoi splendidi occhi. Mi ha sostenuta in questa malattia con una maturità che mi spezza il cuore. Merita molto di più di ciò che posso darle io adesso. Merita un padre che possa occuparsi di lei, proteggerla e amarla come ogni bambino dovrebbe essere amato.

Lorenzo alzò lo sguardo. Di fronte a lui, la bambina lo fissava, tesa.

So che tu credevi di non poter avere figli. I medici te lo hanno detto, e io capisco quanto ti abbia ferito quella diagnosi. Ma si sbagliavano, Lorenzo. Sofia ne è la prova vivente.
Ha sette anni, è nata nove mesi dopo l’ultima notte che abbiamo passato insieme, prima che tutto crollasse. Non ti ho mai parlato della gravidanza perché, quando l’ho scoperto, tu eri convinto che ti avessi tradito, e io ero troppo orgogliosa e troppo ferita per combattere ancora per noi.

Lorenzo sentì un ronzio nelle orecchie. Tornò indietro di otto anni, alle telefonate anonime, alle foto che gli erano state mostrate, alle “prove” che avrebbero dimostrato il tradimento di Anna.

Non pretendo che tu mi creda subito. Ma ti supplico di guardare Sofia e vedere da solo la verità.
Soprattutto, ti prego di conoscerla. È la persona migliore che io abbia mai incontrato, e se a me dovesse accadere qualcosa, lei resterebbe completamente sola. I miei genitori non ci sono più, non ho fratelli, non ho nessuno. Tu sei la sua unica speranza per un futuro con amore e sicurezza.

La lettera finiva con un indirizzo in un quartiere popolare e un numero di telefono. La firma, “Anna”, era tremante, come se avesse faticato per arrivare fino all’ultima parola.

Lorenzo posò lentamente il foglio sulla scrivania e guardò di nuovo la bambina. Ora la vedeva con occhi diversi. La forma del naso, il modo in cui inclinava la testa mentre aspettava una risposta, quella piccola fossetta sulla guancia sinistra quando accennava un sorriso.

Sembrava di guardare una sua foto da piccolo. Solo che quella foto respirava.

«Sofia» disse piano, con la voce incrinata. «Quanti anni hai, tesoro?»

«Sette» rispose lei, alzando sette dita con orgoglio. «Ne faccio otto a dicembre. Il quindici dicembre.»

Lorenzo sentì il cuore mancargli un battito. Quindici dicembre. Esattamente nove mesi dopo la loro ultima notte insieme.


Prima che potesse dire altro, la porta dell’ufficio si spalancò senza bussare.

«Lorenzo, amore, tra dieci minuti dobbiamo essere a pranzo con quei clienti e Marta mi ha detto che…»

Silvia si fermò a metà frase, lo sguardo cadde su Sofia. Il colore le abbandonò il volto. I suoi occhi andarono da Lorenzo alla bambina, e tornarono al volto di lui, ai tratti identici.

«Chi è questa?» chiese, con un sorriso tirato.

Lorenzo si alzò, ancora con la lettera in mano. «Silvia, ti presento Sofia.»
Poi guardò la bambina. «Sofia, questa è la signorina Orlandi.»

Non riuscì a chiamarla “la mia compagna” davanti alla bambina che forse era sua figlia.

Sofia studiò Silvia con una sincerità disarmante. «È sua moglie?» chiese.

Silvia rise, ma la risata suonò finta. «Non ancora, cara. Ma magari un giorno» disse con una dolcezza tirata. Si avvicinò alla scrivania, gli occhi che cercavano di leggere il foglio che Lorenzo teneva in mano. «Che succede, Lorenzo? Perché c’è una bambina nel tuo ufficio?»

«Ha portato una lettera da sua madre» rispose lui, con voce più dura del previsto. «La madre sostiene che Sofia sia mia figlia.»

Le parole rimasero sospese nell’aria.
Silvia si irrigidì. Per otto anni aveva costruito con pazienza la sua posizione accanto a Lorenzo, lavorando per cancellare qualunque traccia di Anna dalla sua vita. E ora, quella bambina rovinava tutto con una sola busta spiegazzata.

«Lorenzo, non vorrai davvero…» cominciò.

Ma lui la zittì con un gesto della mano.
Si inginocchiò accanto a Sofia, portandosi alla sua altezza.

«Sofia, la tua mamma è molto malata, vero?»

La bambina annuì. «Si stanca sempre. A volte non mangia. Pensa che io non la senta, ma la sento piangere di notte. I dottori le danno tante medicine, ma non sembra cambiare molto.»

Lorenzo sentì una fitta, fisica, nel petto. Qualunque fosse la verità sul loro legame di sangue, davanti a lui c’era una bambina che stava vivendo una cosa troppo grande.

«Dove abiti, Sofia? Come sei arrivata qui da sola?»

«Abitiamo in un appartamento in una zona con tante case vecchie» disse lei, cercando le parole. «La mamma mi ha dato i soldi per l’autobus e ha scritto su un foglio che metro prendere. Ha detto che sono molto intelligente e che potevo trovarti da sola.»

Lorenzo immaginò quella bambina sulla metropolitana di Milano, durante l’ora di punta, con la busta stretta in mano. Sentì montare dentro di sé un rispetto profondo per il coraggio di Anna, disperata fino al punto di mandare da sola la figlia a cercare un uomo che non sentiva da otto anni.

«Lorenzo» intervenne Silvia, con la voce tesa. «Per favore, sii razionale. I medici ti hanno detto che non puoi avere figli. È impossibile che…»

Ma lui la ignorò.
Gli occhi erano di nuovo fissi su Sofia.

«Sofia» disse dolcemente, «Vuoi che chiamiamo la mamma per dirle che stai bene? Credo proprio che oggi andrò a trovarla.»

Il volto di Sofia si illuminò con un sorriso che cancellò, per un attimo, tutte le sue paure. «Davvero? La mamma pensava che forse tu non ci avresti voluto vedere. Dice che sei un uomo molto importante, con mille cose importanti da fare.»

«Niente è più importante di questo» mormorò Lorenzo, stupito lui stesso dalle proprie parole.

Quando prese il telefono per chiamare Anna, sentì la mano di Silvia stringergli il braccio con forza.

«Lorenzo, ti prego. Pensaci. Abbiamo una vita insieme, dei progetti. Non puoi buttare via tutto per una lettera e una bambina che…»

Lorenzo le si voltò verso, lo sguardo improvvisamente freddo. «Silvia, annulla tutti i miei appuntamenti di oggi pomeriggio. Io e Sofia dobbiamo andare da sua madre.»


Il tragitto verso il quartiere dove vivevano Anna e Sofia fu silenzioso. Sofia, seduta dietro, in un seggiolino che Marta era miracolosamente riuscita a recuperare, indicava le strade dando indicazioni precise.

«Qui devi girare a destra… adesso a sinistra… noi abitiamo nel palazzo azzurro con le scale bianche» spiegò, con l’aria importante di chi è abituata a cavarsela.

Il quartiere era lontano dai palazzi di vetro del centro direzionale. Case vecchie, serrande abbassate, qualche negozio di quartiere, panni stesi ai balconi. Il palazzo blu, un po’ scrostato, aveva però vasi di fiori sui davanzali e il marciapiede pulito.

«La mamma dice che non è un posto elegante» commentò Sofia, «ma è casa nostra, e io ci sto bene.»

Salirono due rampe di scale strette. Il corridoio odorava di sugo e detersivo. Sofia frugò in tasca, tirò fuori una chiave piccola e aprì la porta dell’appartamento 3B.

«Mamma!» chiamò con voce squillante. «Ho portato una persona a trovarti, come hai chiesto!»

L’appartamento era piccolo ma ordinatissimo. Un tavolo, un divano un po’ consumato, una piccola cucina aperta sul soggiorno. Disegni di bambini incollati al frigorifero, qualche pianta sul davanzale, libri impilati con cura.

Quando Anna apparve dalla porta della camera da letto, a Lorenzo mancò il fiato.

Era ancora lei. Cambiata, consumata dalla malattia, ma lei. I capelli biondi erano sottili, diradati. Il viso più magro, gli occhi verdi enormi in quei lineamenti segnati. Indossava un semplice maglione azzurro e un paio di jeans che le stavano larghi.

Ma quando vide Sofia, il sorriso che le illuminò il volto era lo stesso che lui ricordava.

«Amore, sei tornata sana e salva» disse, inginocchiandosi per abbracciarla. Poi alzò lo sguardo oltre la spalla della figlia e lo vide.

«Ciao, Lorenzo» mormorò. La sua voce aveva ancora quella musicalità che lui non aveva mai dimenticato, ma c’era una stanchezza nuova, profonda.

«Ciao, Anna» rispose lui, e si rese conto che la propria voce era appena un soffio.

Sofia guardava dall’uno all’altra con aria seria. «Mamma, è lui il mio papà?» chiese, semplice come solo i bambini sanno essere.

Gli occhi di Anna si riempirono di lacrime. Guardò sua figlia, poi Lorenzo. «Tesoro… lui è il signor Lorenzo Bardi. È… una persona molto importante che la mamma conosce da tanto tempo.»

Lorenzo si abbassò alla loro altezza. Da vicino, la somiglianza con Sofia era ancora più evidente. Gli stessi occhi, la stessa fossetta, perfino il modo di arricciare le dita quando era nervoso.

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