La bambina con la lettera stropicciata che ha distrutto una bugia di otto anni in un giorno

«La mamma dice che a volte ne faccio troppe» rifletté Sofia. «Ma dice anche che chi è curioso impara di più sul mondo.»

Anna le accarezzò la mano, seduta sul sedile accanto a Lorenzo. «Ed è vero, amore. Le domande sono importanti.»

Il centro oncologico era luminoso, moderno. Mentre Anna si occupava dei documenti e parlava con il medico, Lorenzo e Sofia aspettavano nella sala giochi per bambini: libri, mattoncini, un piccolo angolo cucina giocattolo.

«Hai paura per la mamma?» chiese improvvisamente Sofia, sedendosi accanto a lui su un piccolo divanetto troppo basso per la sua altezza.

La domanda lo prese in contropiede. «Un po’ sì» ammise. «E tu?»

Sofia annuì. «Io ho paura sempre. Però la mamma dice che essere coraggiosi non vuol dire non avere paura. Vuol dire fare la cosa giusta anche quando hai paura.»

Lorenzo sentì qualcosa sciogliersi nel petto. «Allora tua mamma è molto coraggiosa. E lo sei anche tu.»

«Diventerai il mio papà?» chiese lei, con quegli occhi azzurri spalancati.

Si prese un momento per rispondere.

«Sofia, devo dirti la verità. Io spero di sì, con tutto il cuore. Ma dobbiamo fare il test per esserne sicuri. Qualunque cosa dirà il risultato, però, ti prometto che non sparirò. Non ti lascerò sola.»

Sofia ci pensò un attimo, poi prese la sua grande mano fra le sue. «Secondo me sei già il mio papà» disse seria. «Abbiamo le stesse mani, guarda.»

Mise la sua piccola palma contro quella di Lorenzo. Avevano davvero le dita lunghe, la stessa forma delle unghie. Lui sorrise, con gli occhi lucidi.

Tre ore dopo, Anna uscì dallo studio, stanca ma con una luce nuova nello sguardo. Il medico aveva confermato l’inizio immediato della terapia sperimentale. I rischi c’erano, ma anche una possibilità concreta.

«Come ti senti, mamma?» chiese Sofia stringendola forte.

«Stanca» rispose Anna onestamente, «ma piena di speranza.»

Nel pomeriggio, in un piccolo laboratorio, fecero il test del DNA. Una procedura semplice: un tampone all’interno della guancia per Sofia e uno per Lorenzo.

«È come un puzzle» spiegò l’operatore, paziente, quando Sofia lo tempestò di domande. «Ognuno di noi ha un “codice” unico, metà dalla mamma e metà dal papà. Se il signor Lorenzo è il tuo papà, voi due avrete tanti pezzi di codice uguali.»

«Come un codice segreto?» chiese lei, affascinata.

«Esatto» sorrise lui.

La sera, Lorenzo insisté per portarle a cena in una piccola pizzeria di quartiere, allegra e semplice, non lontana da casa loro. Seduti in un tavolo d’angolo, condivisero una pizza margherita e una ai quattro formaggi, mentre Sofia raccontava della scuola, delle sue maestre, del suo sogno di diventare un giorno dottoressa «per curare la mamma e gli altri».

«Cosa ti piace fare nel tempo libero?» chiese Lorenzo.

«Mi piace leggere e disegnare» rispose seria. «E aiuto la mamma a cucinare e a pulire perché si stanca. Lei dice che sono la sua assistente.»

Gli occhi di Anna si velarono di tristezza. «Fa troppo per la sua età» mormorò. «È lei che spesso si occupa di me, non il contrario.»

«Mamma, è così che funziona la famiglia» disse Sofia con semplicità. «Ci si aiuta.»

Lorenzo fu colpito dalla saggezza di quelle parole.

Dopo cena, le accompagnò a casa. Sofia si addormentò in macchina, la testa che ciondolava. Lorenzo la prese in braccio e la portò su per le scale. Nel suo letto, piccolissimo, sembrava ancora più fragile.

«Le piaci» disse Anna, appoggiandosi allo stipite della porta e guardando la bambina addormentata.

«Anche lei piace a me» rispose lui, accarezzando piano una ciocca di capelli biondi. «È straordinaria, Anna. Hai fatto un lavoro incredibile.»

Lei sorrise, con un velo di malinconia. «Ho fatto quello che ho potuto. Ma ci sono tante cose che avrei voluto darle e non ho potuto: lezioni di musica, gite, un corso di danza… le cose normali che costano troppo.»

«Sono tutte cose che si possono ancora fare» disse lui, piano. «Una alla volta.»

Restarono qualche secondo a guardare Sofia dormire, poi Anna, quasi in un sussurro, pose la domanda che la tormentava.

«E se il test fosse negativo?» chiese. «Se Sofia non fosse tua biologicamente… cosa succederebbe?»

Lorenzo rimase a lungo in silenzio, guardando quel piccolo corpo avvolto nelle coperte.

«In questi due giorni» rispose infine, «questa bambina ha spostato qualcosa di fondamentale dentro di me. La biologia è scienza. L’amore, la responsabilità, la scelta… sono altro.
Se il test dicesse che non è mia figlia biologica, vorrei comunque parlare con te di una cosa: l’adozione.»

Anna lo fissò, incredula. «Lorenzo, stai scherzando.»

«Non ho mai parlato più seriamente in vita mia» disse lui.

Si fecero tardi. Quando Lorenzo lasciò l’appartamento quella sera, l’aria di Milano era fresca e umida. Guardando le finestre illuminate del palazzo blu, ebbe la sensazione netta che, in quei pochi metri quadrati, ci fosse più “casa” di quanto ce ne fosse nel suo attico di lusso.

E non sapeva ancora che l’esito del test avrebbe aperto una nuova tempesta.

Il giorno dopo, Lorenzo entrò nella sala riunioni principale con la testa piena di numeri ma il cuore altrove. Non aveva chiuso occhio. Ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva solo Sofia con la busta in mano, o Anna seduta sulla poltroncina sfinita, troppo giovane per essere così consumata.

Non fece in tempo ad appoggiare la cartella sul tavolo che vide Silvia già seduta, con davanti a sé una cartellina beige ben allineata, lo sguardo di chi sta per “portare prove”.

«Ti stavo aspettando» disse, con un sorriso controllato. «Prima che inizi la giornata, devi vedere questo.»

Lorenzo si sedette di fronte a lei, diffidente. «Di cosa si tratta?»

Silvia fece scorrere la cartellina verso di lui. «Ho fatto qualche ricerca su Anna Rossi» disse, con tono neutro. «Credo che tu debba conoscere tutta la sua storia, non solo quella che ti ha raccontato lei.»

Dentro la cartellina c’era una copia di un certificato di matrimonio.
In alto, in stampatello, c’era scritto: Comune di Milano.
Sotto, i nomi: Anna Rossi e Roberto Ferri.

Accanto, fotografie stampate: Anna in un abito bianco semplice, i capelli raccolti, che sorrideva a un uomo alto, capelli neri, abito scuro. Un bacio davanti al municipio. Un brindisi in un piccolo ristorante.

Lorenzo sentì lo stomaco chiudersi.

«Si sono sposati due anni fa» spiegò Silvia, osservandolo. «Il matrimonio è stato annullato dopo sei mesi.»

«Perché?» domandò lui, la voce più ruvida del solito.

Silvia sollevò una seconda pagina. «Secondo i documenti, il signor Ferri avrebbe scoperto che Anna non era stata completamente sincera su alcuni aspetti della sua vita. Compresa l’esistenza di una figlia e di un “padre misterioso” di cui non aveva mai voluto parlare.»

Lorenzo fissò le foto ancora per qualche secondo. Anna in abito da sposa. Anna che rideva con un altro uomo.

La porta della sala riunioni si aprì. L’assistente di Lorenzo, Paolo, si affacciò, visibilmente in imbarazzo. «Dottor Bardi, mi scusi se interrompo, ma la sta cercando il dottor Farina al telefono. Dice che è urgente. È per i risultati del test.»

Il cuore di Lorenzo accelerò.

«Passamelo» disse, prendendo il cordless.

«Michele?» disse, camminando verso la finestra per allontanarsi un minimo da Silvia. «Dimmi.»

«Lorenzo, ho i primi risultati» rispose il medico. «Ti chiamo subito perché so quanto sia importante per te.»

Un breve fruscio di fogli. Poi, la frase che Lorenzo non si aspettava.

«Mi dispiace dirtelo così, ma il test è negativo. Non risulta alcuna relazione biologica tra te e la bambina.»

Per qualche istante, Lorenzo non sentì più il rumore del traffico, né il vociare nei corridoi, né il fruscio del climatizzatore. Solo un grande vuoto.

«Negativo» ripeté a bassa voce.

«Sì. Ho controllato personalmente i dati. La probabilità di paternità è praticamente zero» confermò il medico. «Mi dispiace, Lorenzo.»

«Capisco» riuscì a dire lui. «Grazie, Michele.»

Chiuse la chiamata con un gesto lento. Tornò al tavolo, con il viso improvvisamente più duro.

Silvia lo osservava, attenta. «E allora?» chiese piano.

«Il test è negativo» disse lui, senza giri di parole. «Sofia non è mia figlia.»

Sul volto di Silvia passò un lampo di soddisfazione malamente mascherata da finto dispiacere. «Mi dispiace davvero, Lorenzo» mormorò, appoggiandogli la mano sul braccio. «Ma adesso vedi chi è questa donna? Ti ha già fatto soffrire una volta quando eravate ragazzi. Ora si è rifatta viva, malata, con una bambina, sperando che tu non avresti verificato.»

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