La bambina con la lettera stropicciata che ha distrutto una bugia di otto anni in un giorno

«Allora?» chiese. «Il dottore ti ha confermato che il test è affidabile al cento per cento, immagino.»

«Mi ha confermato che c’è stato un blackout in laboratorio e che tu hai chiamato per informarti sulle procedure di sicurezza» rispose Lorenzo, guardandola dritto negli occhi. «E questo, Silvia, è solo l’inizio delle mie domande.»

Il viso di lei perse un po’ di colore. «Ho chiamato perché sono preoccupata per te» disse, cercando di restare calma. «È un crimine adesso preoccuparsi?»

«Ho chiesto di ripetere il test in un altro posto» continuò lui. «E farò controllare i vecchi campioni da un laboratorio indipendente. Se tutto è in regola, saremo tutti più tranquilli. Se non lo è… allora qualcuno ha un problema.»

Silvia deglutì. «Stai esagerando, Lorenzo. Ti stai lasciando confondere da una storia vecchia di anni e da una donna che sa come toccarti nel punto debole.»

«Il mio punto debole, Silvia» disse lui con calma, «è la verità. E una bambina che non ha chiesto di nascere in mezzo a questo caos.»

Il telefono vibrò ancora.
Un altro messaggio di Sofia.

«La mamma è andata a letto presto. Ha mal di testa.
Posso dirle che domani vieni?»

Lorenzo sorrise appena. Digitò.

«Sì, domani vengo. C’è stato un errore con il test e dobbiamo rifarlo. Dì alla mamma che voglio parlarle di una cosa importante.»

La risposta arrivò con la solita rapidità.

«La mamma sarà contenta. Le manchi.
Anche a me.»


La mattina seguente, Lorenzo bussò di nuovo alla porta di quell’appartamento azzurro. Stavolta non c’era rabbia nel suo petto, ma una strana miscela di vergogna, speranza e determinazione.

Anna aprì, con lo stesso foulard annodato sulla testa e due occhiaie profonde. Sul pavimento, le scatole del giorno prima erano di nuovo aperte: stava rimettendo i libri al loro posto.

«Sto disfacendo le valigie» disse, prima che lui potesse parlare. «Se devo cadere, almeno voglio farlo qui, a casa mia.»

Cercò di scherzare, ma la voce le tremò.

«Anna, devo chiederti scusa» disse lui, senza giri di parole. «E devo raccontarti una cosa.»

Si sedettero. Questa volta fu lui a intrecciare le mani per l’agitazione.

«Ho ragione di credere che il test del DNA sia stato manomesso» disse. «Il laboratorio ha avuto un blackout proprio quel giorno. E il dottor Farina mi ha detto che Silvia ha chiamato per informarsi sui protocolli.»

Gli occhi di Anna si allargarono. «Manomesso? Ma perché qualcuno dovrebbe fare una cosa del genere?»

«Perché forse qualcuno ha passato gli ultimi otto anni a fare di tutto per tenerci lontani» rispose lui, piano. «E adesso che il destino ci ha messi di nuovo sulla stessa strada, sta cercando di rifare lo stesso gioco.»

Anna si morse il labbro. «Silvia lavorava già con te, all’epoca» ricordò. «C’era anche quando… tutto è crollato.»

«Già» annuì lui. «E c’era quando sono arrivate le foto che “dimostravano” il tuo tradimento.»

Anna lo fissò. «Lorenzo, quelle foto io non le ho mai viste. Non so cosa ti abbiano mostrato, ma ti giuro che non ho mai tradito la tua fiducia.»

Lui sospirò. «Ora comincio a crederti davvero. Ma ho bisogno che tu mi racconti tu una cosa: Roberto Ferri. Chi è stato per te? Perché ti sei sposata con lui?»

Anna abbassò lo sguardo sulle mani. «È stato un errore» disse, sincera. «Un errore nato dalla paura e dalla solitudine.»

Si prese qualche secondo, poi continuò.

«Quando Sofia aveva cinque anni, ero esausta. Lavoravo in un supermercato, facevo turni, la lasciavo alla vicina quando non potevo portarla con me. Tutti mi dicevano che una bambina “ha bisogno di una figura paterna”, che “da sola non ce l’avrei fatta”. Roberto era un collega di un’amica. Gentile, tranquillo, molto diverso da te. Mi sembrava una persona solida.»

Fece un sorriso amaro. «Ho pensato che forse, anche se non lo amavo davvero, avrei potuto imparare a farlo. Che sarebbe bastato avere una casa più grande, due stipendi, qualcuno che aiutasse con Sofia.»

«E perché il matrimonio è finito?» chiese Lorenzo, senza giudizio.

«Perché gli ho mentito» ammise lei. «Non su Sofia. Sapeva che era mia figlia, ovviamente. Ma non gli ho detto chi era suo padre. Gliel’ho nascosto. Gli ho fatto credere che fosse una storia banale, una relazione finita e basta.
La verità è che non riuscivo neanche a pronunciare il tuo nome senza farmi male.»

Si interruppe, cercando le parole.

«Ogni volta che lui parlava di “noi tre come famiglia”, io sentivo che stavo recitando. Lui voleva che Sofia lo chiamasse papà. Lei non ci riusciva. Io non ci riuscivo. Alla fine gli ho detto la verità: che non lo amavo, che avevo provato a costruire qualcosa di finto sopra un amore che non mi era mai passato. Si è sentito usato, e aveva ragione. Abbiamo chiesto l’annullamento. È stato un periodo brutto per tutti.»

Alzò lo sguardo verso di lui. «Non ti ho parlato di questo perché me ne vergogno. Perché avevo paura che vedessi solo l’errore e non tutto quello che c’era dietro: la paura di crescere Sofia da sola, l’idea sbagliata che una “famiglia perfetta” valesse più di una madre e una figlia che si vogliono bene.»

Lorenzo la ascoltava in silenzio, e più lei parlava, meno vedeva “una manipolatrice” e più vedeva una donna che, per sopravvivere, aveva sbagliato anche lei, ma sempre partendo dall’amore per la figlia.

Il telefono vibrò sul tavolino. Sullo schermo, il nome di Dott. Michele Farina.

Lorenzo guardò Anna. «Vuoi che metta in vivavoce?»

Lei annuì, trattenendo il respiro.

«Michele, dimmi» disse Lorenzo.

«Ho notizie importanti» rispose il medico, con un tono diverso dal precedente. «Innanzitutto, avevi ragione: i campioni del primo test sono stati contaminati. Qualcuno ha introdotto una sostanza che altera la lettura, dando un falso negativo. Lo possiamo dimostrare.»

Anna portò una mano alla bocca. Lorenzo sentì salire la rabbia, fredda e lucidissima.

«E il nuovo test?» chiese.

«Il nuovo test è chiarissimo» disse il medico. «Lorenzo, Sofia è tua figlia. La probabilità di paternità è superiore al 99,9%. Non c’è alcun dubbio scientifico.»

Per qualche secondo nella stanza ci fu solo il ticchettio dell’orologio appeso al muro.

Lorenzo guardò Anna. Lei lo fissava, senza osare parlare.

«Hai sentito?» chiese lui, piano.

Anna annuì, gli occhi pieni di lacrime. «L’ho sempre saputo» sussurrò. «Ma adesso… adesso nessuno potrà più dire il contrario.»

«Grazie, Michele» disse Lorenzo al telefono. «Ti richiamerò più tardi per parlare della parte… legale.»

Quando chiuse la chiamata, nella stanza sembrò cambiare l’aria.

Lorenzo si alzò, fece il giro del tavolino e si inginocchiò davanti ad Anna. Le prese le mani tra le sue.

«Ti ho fatto un torto enorme» disse, con la voce spezzata. «Otto anni fa. E di nuovo ieri. Ho creduto alle persone sbagliate, ho dubitato di te, ti ho lasciato sola con una bambina che era anche mia. Ti ho guardata e ti ho detto che non mi fidavo. Non so se potrò mai riparare a tutto questo, ma voglio provarci.»

Anna scoppiò a piangere in silenzio. Le lacrime scendevano sulle guance magre, ma nel suo sguardo, sotto il dolore, c’era anche un enorme sollievo.

«Non voglio tornare indietro e rifare tutto» disse piano. «Non si può. Ma… se posso scegliere tra passare il poco tempo che mi resta a rimproverarti o a vivere… io voglio vivere. Con Sofia. E, se tu lo vuoi davvero, con te.»

Lorenzo la tirò dolcemente verso di sé e la abbracciò. Sentì quanto fosse leggera, quanto il suo corpo fosse fragile, ma sentì anche il cuore di lei battere forte contro il suo petto.

«Ti amo ancora, Anna» sussurrò. «Non ho mai smesso. Ho solo fatto finta di non sentirlo.»

Rimasero così a lungo, stretti in quell’appartamento piccolo, mentre fuori la vita andava avanti come se niente fosse.


La porta si aprì all’improvviso. «Mamma, sono tornata!» gridò Sofia, buttando lo zaino a terra e correndo verso il soggiorno. «La maestra ci ha dato da…»

Si fermò di colpo vedendoli abbracciati. Li guardò, sorpresa, poi preoccupata.

«State piangendo?» chiese.

Anna si asciugò in fretta le lacrime. Lorenzo si alzò, tirando un respiro profondo.

«Sofia, vieni qui» disse, con un sorriso che gli uscì dal profondo.

Lei si avvicinò, diffidente. «Hai ancora il muso?» chiese, diretta.

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