La bambina con la lettera stropicciata che ha distrutto una bugia di otto anni in un giorno

Quando la porta si chiuse, restarono faccia a faccia Lorenzo e Silvia.

«Hai idea di cosa stai facendo?» sibilò lei. «Stai buttando via otto anni della tua vita per una storia vecchia e una donna malata che ti trascinerà giù con lei.»

«Otto anni della mia vita» ripeté Lorenzo. «Già. Otto anni in cui, guarda caso, tu eri sempre presente ogni volta che arrivava una “prova” contro Anna. Otto anni in cui mi hai ripetuto che la famiglia è un peso, che i figli sono un intralcio, che io sono nato per stare solo al vertice, con te al mio fianco.»

Fece un passo verso di lei. «La verità, Silvia, è che tu non mi hai mai voluto felice. Mi hai voluto disponibile. È diverso.»

Lei lo fissò, ferita nell’orgoglio. «Ti ho salvato» sussurrò. «Quella ragazza ti avrebbe incastrato. Adesso ti ci sta riuscendo.»

«Quella ragazza» ribatté lui, scandendo bene le parole, «ha cresciuto da sola mia figlia mentre io stavo in un attico a bere vini costosi convinto di essere sterile. E se oggi Sofia mi abbraccia chiamandomi papà è nonostante me, non grazie a me.»

Indicò la porta.

«Domattina parlerò con il consiglio di amministrazione» disse. «Ti solleverò da ogni incarico in azienda. I legali di Bardi Tech si occuperanno di ricostruire quanto è successo con il test e con le “prove” di otto anni fa. Se emergeranno responsabilità, non sarò io a decidere le conseguenze. Sarà la legge.»

Silvia lo guardò, con un misto di rabbia e sconcerto. «Mi denuncerai?»

«Io no» rispose lui. «Ma il laboratorio ha già fatto partire una segnalazione formale sui campioni manomessi. Il resto seguirà. Non è una guerra personale. È solo giustizia.»

«Io ti amavo» sibilò lei, con un filo di voce. «Ho fatto tutto questo perché ti amavo.»

«No» disse Lorenzo, scuotendo la testa. «Hai fatto tutto questo perché volevi possedere la mia vita. È diverso.»

Silvia prese la borsa con movimenti rigidi. «Ti pentirai» disse, con l’ultimo orgoglio che le restava. «Quando quella donna se ne sarà andata e ti lascerà con una bambina malata di nostalgia, ti renderai conto che io ero l’unica che ti vedeva per quello che sei.»

«Speriamo di no» rispose lui, semplicemente.

La porta si chiuse dietro di lei.
E, insieme al rumore della serratura, cadde anche un peso che Lorenzo si trascinava addosso da anni senza accorgersene.


Le settimane successive furono piene, intense, stancanti e bellissime.

Lorenzo divise il suo tempo tra l’azienda, l’ospedale e il palazzo blu.
Scoprì che i corridoi di un reparto oncologico possono essere luoghi di una tenerezza feroce: gente che ride troppo forte per non piangere, volontari che portano libri e torte fatte in casa, infermieri che imparano a memoria i nomi dei figli dei pazienti.

Anna iniziò il nuovo protocollo terapeutico. Gli effetti collaterali c’erano, eccome: stanchezza, nausea, giornate no. Ma i medici parlavano di «risposta incoraggiante», di «indicatori in calo».

Ogni volta che un’analisi andava un po’ meglio, Sofia attaccava sul frigorifero un disegno nuovo: la mamma con i capelli corti ma con un grande sorriso, un dottore con il camice e una “pozione magica” in mano, un papà alto che tiene per mano tutte e due.

Lorenzo cominciò a entrare nella loro quotidianità in modo naturale.

La mattina, quando gli impegni glielo permettevano, portava lui Sofia a scuola, mano nella mano, passando davanti al bar d’angolo dove la signora dietro il bancone aveva smesso di chiamarlo “dottore” e aveva iniziato a chiamarlo «il papà di Sofia».

La sera, spesso, cenavano insieme nel piccolo soggiorno: pasta al pomodoro, minestrone, polpette. A volte andavano da lui, per abituarsi pian piano alla nuova casa, più grande, più luminosa, ma dove mancavano ancora il rumore delle risate e il disordine creativo dei giocattoli.

Una sera, mentre Anna riposava sul divano dopo una seduta particolarmente pesante, Sofia e Lorenzo erano alla scrivania, pieni di fogli, penne, graffette.

«Cosa stai combinando esattamente?» chiese lui, sorridendo.

«Sto facendo un contratto» rispose lei, seria. «La maestra ha detto che i contratti servono per mettere per scritto le cose importanti.»

Gli mostrò il foglio. C’era scritto, in stampatello storto:

CONTRATTO DI FAMIGLIA
Articolo 1: Il papà legge sempre una storia prima di dormire.
Articolo 2: La mamma non è mai sola all’ospedale.
Articolo 3: La bambina può dormire nel lettone quando ha gli incubi.
Articolo 4: Non si scappa più.

«Articolo 4 è il più importante» commentò Sofia. «Vuol dire che se uno ha paura o si arrabbia, non prende e sparisce. Si parla.»

Lorenzo sentì un pugno dolce nello stomaco. «Mi sembra il contratto più serio che abbia mai firmato» disse.

Prese una penna e firmò sotto al suo nome: Lorenzo Bardi.
Poi la fece firmare ad Anna, che li guardava dal divano con gli occhi lucidi.
Sofia aggiunse la sua firma con uno scarabocchio enorme, pieno di cuori.

Il “contratto di famiglia” finì incorniciato accanto alla famosa lettera, quella che Anna aveva scritto e che Sofia aveva portato, con tutta la sua incosciente determinazione, al piano più alto di Bardi Tech.


Col passare dei mesi, i medici iniziarono a pronunciare parole che nessuno osava sperare all’inizio.

«Remissione completa» disse un giorno il dottor Farina, mostrando a Lorenzo e ad Anna gli ultimi esami. «La terapia ha funzionato. Dovremo tenere tutto sotto controllo, certo, ma oggi possiamo dire che la malattia è ferma.»

Anna si portò le mani alla bocca. Per la prima volta, pianse non solo dalla paura, ma anche dalla gratitudine.

Sofia, appena informata, fece un salto talmente alto che quasi toccò il soffitto. «Allora la pozione magica ha vinto!» gridò. «Lo sapevo!»

Quella sera, per festeggiare, andarono tutti e tre a mangiare il gelato in una piccola gelateria vicino ai Navigli. Sofia, dopo un assaggio scientifico di almeno cinque gusti, decise che il pistacchio «sa di famiglia felice».

Mentre tornavano verso casa lungo il canale, sotto le luci calde dei lampioni, Lorenzo camminava con una mano intrecciata a quella di Anna e l’altra a quella di Sofia.

Tra Milano e il cielo, in quel momento, non avrebbe cambiato posto con nessuno.


La proposta arrivò in una sera tranquilla, di quelle che sembrano uguali alle altre e invece ti cambiano la vita.

Sofia era seduta al tavolo della cucina, a fare i compiti di matematica. Anna stava sistemando dei piatti nella lavastoviglie. Lorenzo andava avanti e indietro tra il soggiorno e la camera da letto, visibilmente agitato.

«Papà, cammini strano» osservò Sofia, senza alzare lo sguardo dal quaderno. «Sembri un leone in gabbia.»

Anna sorrise. «È vero. Hai dimenticato come ci si siede?»

Lui inspirò profondamente. «Va bene, smetto di camminare» disse, tornando in cucina. «Ma devo chiedervi una cosa molto seria.»

Si fermò davanti a Sofia. «Posso avere un’alleata per una missione speciale?» chiese, abbassando la voce come se le pareti potessero origliare.

Gli occhi di lei si illuminarono. «Che missione?»

Lorenzo tirò fuori dalla tasca una piccola scatolina di velluto blu e la aprì appena, quel tanto che bastava perché Sofia vedesse il luccichio all’interno.

Lei spalancò la bocca. «È un anello!» sussurrò. «Per la mamma!»

«Esatto» disse lui. «Ma vorrei che fossi tu ad aiutarmi a chiederglielo.»

«Siiii!» fece lei, saltando giù dalla sedia. «Lo facciamo ora? Subito? In pigiama o vestiti eleganti?»

Anna si voltò, incuriosita. «Che tramate voi due?»

Sofia tornò al suo posto con una compostezza improvvisa, le mani incrociate. «Niente, cose di adulti» disse, cercando di trattenere il sorriso.

Lorenzo si avvicinò ad Anna, tenendo la scatolina ben visibile.

«In realtà» disse, «sono cose di famiglia.»

Si mise in ginocchio. Anna lo guardò, già con gli occhi lucidi, le mani che le tremavano leggermente.

«Anna Rossi» iniziò lui, la voce che gli si incrinava appena, «otto anni fa ti ho lasciata andare perché ero convinto che mi avessi tradito. In realtà a tradirmi sono state le persone a cui ho dato più fiducia.
Tu hai cresciuto nostra figlia da sola, hai combattuto una malattia che fa paura solo a pronunciarla, hai avuto il coraggio di scrivermi una lettera quando chiunque altro si sarebbe chiuso nel silenzio.»

Sofia si avvicinò e si infilò tra i due, prendendo una mano di ciascuno.

«Negli ultimi mesi» continuò Lorenzo, «ho scoperto che la cosa che mi fa più paura non è perdere un affare o sbagliare una strategia. È l’idea di perdere voi. Di non sentire più la tua risata quando mi prendi in giro per la mia pasta scotta, Anna. Di non farmi dire da Sofia che il mio gelato “non è male ma può migliorare”.»

Aprì la scatolina. Dentro, un anello semplice, con un piccolo diamante che brillava senza eccessi.

«Vorrei chiederti di sposarmi» disse. «Non per riparare al passato, perché quello nessuno ce lo restituisce. Ma per costruire il futuro che avremmo dovuto avere da subito. Vorrei essere tuo marito, e vorrei che noi tre avessimo lo stesso cognome sulla cassetta della posta.
Anna, vuoi sposarmi?»

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