Anna lo guardò attraverso un velo di lacrime. Poi guardò Sofia, che annuiva con energia, come se stesse cercando di spingerla alla risposta con la forza del pensiero.
«Sì» disse, in un soffio. «Sì, certo che sì.»
Sofia batté le mani così forte che spostò un foglio dal tavolo. «Lo sapevo! Lo sapevo! Lo sapevo!» cantilenava. «Diventeremo i Bardi tutti e tre!»
Lorenzo infilò l’anello al dito di Anna, e le mani gli tremavano più di quando aveva firmato il primo contratto milionario della sua vita.
Quando si abbracciarono, fu Sofia a chiudere il cerchio, stringendoli da fuori. «Adesso non potete più scappare, eh» disse. «C’è il contratto di famiglia.»
«Articolo 4» rispose Lorenzo, ridendo tra le lacrime. «Non si scappa più.»
La cerimonia fu semplice, italiana fino al midollo e piena di piccole imperfezioni, proprio per questo perfetta.
Si sposarono in Comune, in una sala luminosa affacciata sui tetti, con un funzionario che aveva la voce rotta quando lesse le formule e vide la faccia di Sofia in prima fila.
Sofia era la loro “testimone speciale”: un vestitino chiaro, una coroncina di fiori tra i capelli, il compito serissimo di portare le fedi su un cuscinetto che stringeva come se fosse oro puro.
Il dottor Farina era lì, tra gli invitati, con un sorriso che mescolava orgoglio professionale e affetto sincero. Alcuni colleghi di Lorenzo, la vicina di casa del palazzo blu, due infermiere del reparto che avevano visto Anna nei giorni peggiori. Nessuno in giacca e cravatta troppo rigida, nessuno lì per formalità.
Quando fu il momento delle promesse, Lorenzo chiese al funzionario se poteva aggiungere qualcosa.
«Certo» disse l’uomo, spostandosi di lato.
Lorenzo prese le mani di Anna. «Ti prometto» disse, «che non lascerò più che la paura decida al posto mio. Che parlerò, invece di chiudermi. Che ricorderò ogni giorno che voi siete la mia vera misura del successo. E ti prometto che, d’ora in avanti, se qualcuno proverà a entrare tra noi, troverà me, non il mio silenzio.»
Poi si voltò verso Sofia, che lo guardava con gli occhi lucidi.
«E a te prometto una cosa ancora più importante» aggiunse. «Prometto che non sarai mai più tu a dover essere l’adulta della situazione. Che potrai fare la bambina, l’adolescente, la donna, senza dover portare sulle spalle il peso delle scelte dei grandi.
Prometto che ci sarò: ai colloqui con le maestre, alle recite, agli esami, alle prime cadute e alle prime vittorie. Non sarò perfetto, ma sarò lì.»
Sofia strinse forte la mano della mamma, mentre annunciava a voce alta: «Accetto!»
Tutti risero. Il funzionario si asciugò di nascosto un angolo dell’occhio. «Credo che la promessa sia stata recepita» disse.
Alla fine della cerimonia, firmarono i registri.
Sofia guardò i nomi: Lorenzo Bardi, Anna Rossi, e accanto al suo Sofia Bardi scritto in stampatello. L’avrebbero formalizzato di lì a poco, con l’adozione piena, ma per lei era già tutto vero.
«Adesso abbiamo lo stesso cognome» disse, con orgoglio. «Lo scriverò grande sulla porta.»
Silvia non c’era, ovviamente.
Da mesi non lavorava più in azienda. I legali di Bardi Tech e il laboratorio avevano presentato le loro relazioni alle autorità competenti. C’era un’indagine in corso sulla manomissione dei campioni e su alcune “stranezze” nelle vecchie email e nei dossier che, anni prima, avevano contribuito alla rottura tra Lorenzo e Anna.
Lorenzo non seguiva ogni dettaglio. Si limitava a rispondere quando lo chiamavano per chiarire alcuni passaggi. Non cercava vendetta. Cercava solo di chiudere, una volta per tutte, il capitolo in cui qualcun altro aveva avuto più voce in capitolo sulla sua vita di lui stesso.
«Non mi interessa come finirà» disse una sera ad Anna, seduti sul divano. «Mi interessa che, da oggi in poi, nessuno possa più usare il nostro passato contro di noi.»
Anna annuì. «Il passato è un posto dove si va a prendere le lezioni» disse. «Non una casa dove vivere.»
L’attico di Lorenzo cambiò volto.
I quadri astratti freddi vennero sostituiti da fotografie: Sofia al mare con un secchiello rosso, Anna con un cappellino di lana troppo grande, loro tre abbracciati sul divano in una domenica di pioggia.
Sul frigorifero campeggiava ancora il “contratto di famiglia”, ormai un po’ macchiato di sugo.
Accanto ad esso, in una cornice semplice, c’era la lettera di Anna, quella che tutto aveva iniziato.
“Caro Lorenzo, so che questa lettera ti arriverà come uno schiaffo.
Ti chiedo solo di leggerla fino in fondo prima di decidere cosa fare di noi…”
Sofia la guardava spesso, con aria importante. «Questa è la lettera che ha cambiato il finale della nostra storia» diceva. «Se non l’avessi portata io, tu adesso saresti un signore triste da solo in un appartamento silenzioso.»
«E tu saresti una maestra di coraggio senza allievi» rispondeva lui.
Una sera d’inverno, mentre Milano era sotto una pioggia sottile e le luci della città disegnavano riflessi sul pavimento lucido, si ritrovarono tutti e tre sul terrazzo, avvolti in coperte, a guardare il cielo.
«A cosa pensi, papà?» chiese Sofia, vedendolo serio.
«Penso che a volte le cose più importanti arrivano dentro le buste più stropicciate» rispose lui, stringendola. «E che una bambina con le scarpe da ginnastica e la treccia storta può fare più di mille riunioni in giacca e cravatta.»
Sofia sorrise. «Io penso che i desideri si avverano quando non molli» disse. «Io volevo un papà che amasse me e la mamma. Ci è voluto un bel po’, ma alla fine è arrivato.»
Anna si avvicinò e li abbracciò tutti e due. «Io volevo che mia figlia non rimanesse sola al mondo» disse piano. «Adesso so che, qualunque cosa succeda, non sarà mai sola.»
Lorenzo le baciò la fronte. «Io volevo una vita importante» confessò. «E mi sono accorto tardi che non c’è nulla di più importante che tornare a casa la sera e sentire due voci che ti urlano “sei in ritardo” e “che cosa mangiamo?”.»
Sofia rideva. «Domani a scuola scriverò un tema» annunciò. «Titolo: “La lettera più importante del mondo”. Dirò che se sei abbastanza coraggioso da portare una lettera fino in cima a un palazzo, puoi cambiare il tuo destino.»
«E aggiungi» disse Lorenzo, «che a volte il destino ha bisogno di una mano. O di due piccole mani con le unghie sporche di pennarello.»
«Lo scriverò» promise lei.
Rientrarono in casa, chiudendo fuori la pioggia e il rumore lontano del traffico.
Dentro c’erano il profumo di minestra sul fuoco, il calore dei termosifoni, il disordine buono dei quaderni sparsi sul tavolo.
C’era, soprattutto, quello che avevano cercato per anni senza saperlo:
una famiglia.
E tutto era cominciato con una bambina che, stringendo una busta spiegazzata, aveva alzato lo sguardo verso un uomo che non conosceva ancora e aveva trovato il coraggio di chiedergli:
«Mi scusi, può leggere questa lettera? È molto importante.»
Questa volta, nessuno di loro avrebbe più dimenticato quanto potesse essere importante una semplice lettera.
E, soprattutto, quanto potesse essere potente l’amore di chi non si arrende.
Fine.






